Il festival della letteratura Pordenonelegge che si è svolto quest’anno nella città friulana da mercoledì 17 a domenica 21 settembre, ha la caratteristica tipica di questi eventi di trasformare una città. È un po’ lo stesso dispositivo del festival di Mantova, che probabilmente è più conosciuto, ma anche meno vario e coraggioso. Anche in quel caso gli eventi ruotano fondamentalmente intorno all’incontro con l’autore, ma la molteplicità, lo sforzo di apertura e di ascolto di Pordenone è imparagonabile. Basti pensare che le centinaia, letteralmente, di incontri pubblici hanno parlato di arte e architettura, attualità, letteratura per ragazzi, narrativa, traduzione, teatro, poesia, scienza, filosofia e storia, mentre altrove i festival sono specializzati su un tema o certe discipline (si pensi alla poesia, sempre difficile da presentare al grande pubblico) sono quasi o del tutto interdette.
A Pordenone invece il pubblico è accorso sempre, ovunque e in massa ad ogni evento. Certi incontri soprattutto con i nomi più “di cartello”, come Erri de Luca, Umberto Eco, Alessandro Bergonzoni, Corrado Augias, Mauro Corona non hanno neppure permesso a tutti coloro che lo desideravano di accedere all’evento. Ma si tratta del male minore: gli esponenti di quella che ormai rappresenta una sorta di immancabile fauna intellettual-televisiva servono più che altro ad attirare il pubblico e a dare titoli e articoli vacui ai giornali pigri, ma la cultura passa altrove. È comprensibile che un festival che comporta uno sforzo così grosso usi anche i nomi di richiamo; l’importante però è che la sostanza venga messa a disposizione di tutti, cosa che qui è avvenuta.
Migliaia di persone hanno potuto incontrare alcuni degli esponenti principali della poesia italiana ed europea, spesso sconosciuti: citiamo, uno per tutti, Antonio Gamoneda, forse il maggior poeta spagnolo d’oggi, o ascoltare la voce originale e coraggiosa di Nicolai Lilin, l’autore del romanzo L’educazione siberiana, che ha raccontato in un lungo incontro, straripante di ascoltatori, le anomalie colpevoli dell’informazione italiana rispetto alle vicende orientali come quelle che riguardano la Russia e l’Ucraina, arrivando a definire Renzi e la Mogherini (cito testualmente) criminali di Stato; oppure ancora si sono potute ascoltare importanti conversazioni su temi squisitamente culturali e letterari, come ad esempio le questioni del tradurre gli autori stranieri, in incontri come quello tra Gian Mario Villalta (che del festival è il curatore, insieme ad Alberto Garlini e Valentina Gasparet), Tullio Avoledo e Sergio Perroni o quello sul poeta Osip Mandel’stam che ho curato assieme a Paolo Ruffilli.
Pordenone ha risposto alla grande, dunque. La città, generalmente più compassata e discreta anche nella sua vita pubblica, era invasa di gente, trasformata in un enorme villaggio del libro: i giornali locali hanno registrato, alla fine dell’evento, un aumento del venti per cento del turismo e dei clienti della ristorazione, ed è certo anche il boom di acquisti del libro, in contraddizione con le statistiche pessimiste di cui sentiamo sempre su questo tema. Una risposta così grande delle persone indica forse una domanda, un’esigenza chiara: il bisogno che la cultura, la letteratura e l’arte siano, più che oggetti di canoni, storie cristallizzate, cataloghi o musei, un’esperienza viva, incontrabile come sono incontrabili gli autori dei libri. Un’esperienza in atto che si possa vedere, toccare con mano e scegliere di ascoltare, e anche di criticare, perché scesa al livello della vita a scorrere nelle strade di una delle tante, meravigliose città d’Italia.