L’occasione dell’Expo 2015 ci suggerisce di rievocare le grandi domande che sono state poste fin dall’antichità sul rapporto dell’uomo con la terra. Qual è il compito dell’uomo? E perché questo compito è reso così difficile, apparentemente dalla terra stessa? Qual è il posto di chi la terra la coltiva nella società degli uomini? E com’è possibile nutrire il pianeta senza violare la natura?
Una prima serie di risposte le troviamo nell’Antico Testamento: “Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata — perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere della terra e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente… Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”. Questa dunque l’idea originaria del lavoro, un compito di responsabilità e di cooperazione col creato, affidato da Dio all’uomo che con la terra ha un rapporto originario. Il peccato corrompe questo rapporto, suscita ostilità fra l’uomo e la terra, fra l’uomo e il suo lavoro: “Maledetto sia il suolo per causa tua. Con dolore ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane“.
Qualcosa di questo dramma penetra nel pensiero pagano. Da Esiodo in avanti sono molti ad individuare un’antica età, l’età dell’oro, in cui fra l’uomo e la terra c’era una felice intesa: “il suo frutto dava la fertile terra / senza lavoro, ricco e abbondante, ed essi, contenti, / sereni, si spartivano le loro opere in mezzo a beni infiniti, / ricchi d’armenti, cari agli dèi immortali“. Ma c’è una colpa anche nel mito antico, che è anzitutto un venir meno dell’amicizia divina: gli dèi tengono nascosti i mezzi per vivere… Zeus li nascose adirato nel suo cuore, perché Prometeo dagli astuti pensieri l’aveva ingannato“.
E’ la fine di una possibilità di pace con la terra? Sia il salmista, sia i pensatori più profondi del paganesimo tentano altre risposte. Così canta il salmo 65, il salmo della magnanimità di Dio: “Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze. Il fiume di Dio è gonfio di acque; tu prepari il frumento per gli uomini. Così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. Coroni l’anno con i tuoi benefici, i tuoi solchi stillano abbondanza“. E i pagani vedono in un Dio padre (Zeus/Giove) il pedagogo e il collaboratore. Dice Virgilio: “Lo stesso Padre volle che fosse difficile la via della coltivazione e per primo fece smuovere i campi con metodo aguzzando con le preoccupazioni gli intelletti umani… affinché il bisogno, con l’aiuto della riflessione, suscitasse le varie arti“.
E un poeta di formazione stoica, Arato, citato da san Paolo nel discorso all’Areopago: “In ogni circostanza ricorriamo a Zeus: di lui infatti siamo la stirpe. Ed egli benevolo manda agli uomini i segni opportuni… e dice quando la terra è ottima per i buoi e per le vanghe, e dice quando sono le stagioni adatte per rincalzare gli alberi e gettare tutti i tipi di semi. Giacché egli stesso dispose i segni del cielo dividendo gli astri, e distribuì nell’anno le stelle perché segnalassero agli uomini i tempi più adatti delle stagioni, affinché tutte le piante crescessero bene“.
Non c’è società umana senza la cooperazione fra il contadino e la terra. Ma se questo sembra ovvio, in ogni epoca la fatica dell’agricoltura ha pesato anche sulla stima sociale. E se la terra come possesso è stata sempre valutata molto in termini di ricchezza, potere, influenza politica (in Egitto, in Grecia, in Roma) il lavoro del contadino libero ha dovuto essere valorizzato e difeso perché non fosse sentito come una sconfitta, una diminuzione. Così Esiodo esorta il fratello, che rifiuta di darsi all’agricoltura: “il lavoro non è vergogna, è l’ozio vergogna: se tu lavori, presto t’invidierà chi è senza lavoro mentre arricchisci, perché chi è ricco ha successo e benessere“.
E Virgilio: “Fortunati i contadini, se conoscessero i loro vantaggi! Ad essi, lontani dalle armi discordi, la terra stessa produce un facile vitto con piena corrispondenza al loro lavoro“. Più oltre riconosce nell’incontro con la presenza divina nella natura una conoscenza pari di valore con quella scientifica, perché permette un’analoga serenità: “Fortunato anche colui che conosce gli dèi agresti, Pan e l’antico Silvano e le ninfe sorelle. Non lo piegano né le insegne del popolo, né la porpora dei re e la discordia che agita i fratelli sleali o i Daci che calano dal Danubio infido, la vicenda di Roma e i regni destinati a perire“.
E il monito biblico di custodire la terra? E’ un grave compito coniugarlo con la necessità di usarla e sfruttarla per il cibo di tutti. Il mito grecoromano intuisce che la natura può essere terribile se violata. Gli dèi della natura, Demetra/Cerere e Dioniso, sono i più benevoli e ricchi di doni se accolti e onorati, ma i più vendicativi se misconosciuti e perseguitati. Non si può ferire impunemente la terra che ci è affidata.