“Il successo delle forze populiste è favorito dal vuoto lasciato dalla crisi profonda delle principali culture politiche del Dopoguerra: quella socialdemocratica, indebolita dal ruolo marginale della classe operaia e dei sindacati, e quella religiosa, intaccata dalla secolarizzazione e da una stagione di mea culpa”.
Questa in sintesi è la tesi di Ernesto Galli della Loggia, proposta di recente sul Corriere della Sera. Una tesi che merita di essere discussa. Per gli elementi certamente plausibili portati a sostegno, fondamentalmente — nei paesi occidentali — la crisi dello scambio keynesiano tra welfare e consenso politico sui cui si erano tarati per decenni i partiti politici del Novecento e il rilievo assunto nell’arena pubblica dai valori individualistico-libertari a scapito dell’etica socialista. In sostanza la crisi del comunitarismo. E dei suoi strumenti materiali, il welfare).
Ma anche per quelli meno plausibili, su cui ci intratterremo un po’ di più. E che sono in buona sostanza il “ritiro” dalla Grande Storia della cultura politica religiosa, e segnatamente cristiano-cattolica, oppressa dai sensi di colpa (dalle Crociate alla conquista delle Americhe, al colonialismo, all’antisemitismo) e “volta a mettere sotto accusa l’etnocentrismo sopraffattore, la peculiare distruttività e disumanità che avrebbe caratterizzato il ruolo dell’Occidente euro-americano nei secoli: al proprio interno e ancor di più al proprio esterno”.
Insomma è accaduto che “alla perdita d’interesse per un orizzonte cristiano, capace di misurarsi con l’intera complessità del reale, e quindi per quell’intervento a tutto campo nel mondo che è proprio della politica… proseguendo sulla strada iniziata con le chiese protestanti europee, il Cristianesimo-Cattolicesimo si sia ritirato dalla Grande Storia”.
Insomma una infausta diserzione dal temporalismo che ha fatto grande la Chiesa e l’Occidente, in un contesto di crisi interna (crisi dei propri valori) e di pressioni esterne (confronto di civiltà) che proprio in quel temporalismo, nella Chiesa istituzione politica, avrebbe dovuto (e dovrebbe) avere la sua trincea di resistenza, piuttosto che nel puro e semplice tornare alla pur straordinarie parole dell’annuncio: “Il mio regno non è di questa Terra”.
Approccio da cui per Galli della Loggia è conseguito che, quando più serviva quella trincea, nella civilizzazione euro-americana a base cristiana “piuttosto che l’azione storico-politica hanno occupato spazi sempre più grandi una religiosità, e nel caso della Chiesa cattolica una pastorale, orientate prevalentemente all’azione caritativa da un lato e al rinnovamento etico-spirituale dall’altro”.
A mio avviso a Galli sfugge che proprio questo ritorno all’annuncio vuol porre rimedio alla prima debolezza interna di quella trincea, per altro da lui benissimo individuata. Cioè che nello spazio da essa perimetrato — e venuto non da fuori, ma emerso dal di dentro dell’annuncio che vi aveva dato una storia, la Grande Storia cristiana di cui parla Galli; venuto dal suo estenuarsi, quando non vero e proprio tradimento nella “lettera” dell’individuo dello “spirito” della persona — è il comunitarismo fondativo dell’ecclesia cristiana (e della sua versione laico-socialista) che è venuto meno; e che si trova per questo vieppiù disarmato sul piano valoriale nella crisi del welfare.
E che quindi nella scelta “religiosa” dell’annuncio promossa non da un Francesco esterno, ma da un Francesco insediato nella Chiesa istituzione, non c’è nessun puro e semplice ritiro cristiano-cattolico dalla Grande Storia, ma l’individuazione dell’unico modo per tornare a giocarvi da protagonisti. Un ritorno in campo all’altezza dei tempi da cui da decenni la Chiesa cattolica sta provando a coinvolgere per altro ortodossi e protestanti.
Niente di più “politico” in senso globale, il cui manifesto — preparato dai viaggi di Wojtyla e dal dialogo con la modernità della teologia di Ratzinger — è nell’enciclica Laudato si’ di Francesco. Un documento politico globale, che ha pochi eguali, nel contrasto a una mondializzazione mercatoria agita dal capitalismo “individuale” occidentale o modellato sull’individualismo proprietario occidentale e da quello dei fondi sovrani arabi e della superpotenza economica cinese. Un contrasto che è la vera sfida valoriale e politica del futuro. Insomma giudicare il rapporto della Chiesa di Roma all’ombra del Cupolone, credo faccia perdere proprio prospettiva storica. Ma è discorso che vorrebbe spazi più ampi che una nota a margine di una intrigante sollecitazione.