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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Francesco e il dono di scardinare le strutture prefissate

  • Letture e Recensioni
  • Cultura

LETTURE/ Francesco e il dono di scardinare le strutture prefissate

Paolo Valesio
Pubblicato 2 Novembre 2017
james_ensor_entrata_cristo_bruxelles_1889_1888_arte

James Ensor, L'entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 (1888), particolare

Una visita papale, per quanto breve, produce sempre nel luogo visitato alcune metamorfosi. Perché Francesco interpella così radicalmente le strutture esistenti? PAOLO VALESIO

Una visita papale, per quanto breve, produce sempre nel luogo visitato alcune metamorfosi. Per esempio, durante la recente visita a Bologna di papa Francesco è risuonato uno sparo; fortunatamente non diretto alla Sua persona, dunque in nessun modo collegato all’ottimo funzionamento della rete di sicurezza che avvolgeva la città. Ma si è purtroppo trattato di un suicidio, compiuto da un uomo di ben 89 anni. E, alla fine del pranzo con cui il Papa ha intrattenuto nella basilica di San Petronio in Piazza Maggiore (nel cuore della città) venti carcerati, due di essi si sono allontanati sfuggendo ai loro custodi. Cosa voglio dire? Un’ovvietà, forse, ma che merita un attimo di riflessione: nemmeno il Papa può cambiare l’incessante scorrere della vita tutt’intorno, con la sua spietata mescolanza di tragedia e commedia.


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Quello che il Papa poteva fare era dare un senso generale all’evento, inquadrando la giornata nella cornice di un motto che era anche un’esortazione: “Pane, parole e poveri”. Tre P che sono sembrate la risposta costruttiva e misericordiosa alle ciniche tre F — “Feste, farina e forca” — attribuite ai Borboni di Napoli. E queste P sono tornate alla mente, di fronte alle centinaia di persone (donne e uomini di varie età e nazionalità) che camminavano nella tarda mattinata, fluendo verso la Piazza Maggiore e poi, trovandola piena e bloccata, rifluendo dentro le strette vie medievali tutt’intorno. Avevano facce assorte e insieme distratte, con un’espressione che era qualcosa di più della curiosità: i loro volti erano divisi tra la speranza e la perplessità. Veniva  allora in mente la domanda martellante di Gesù: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? […] Allora, che cosa siete andati a vedere? […] Ebbene, che cosa siete andati a vedere?” (Mt 11, 6-9).


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Che cosa siamo andati a vedere? Forse, un modo per tentare di figurarci nella mente quali fossero, nelle tre P,  le “parole”; ma qui, ognuno doveva scegliere per conto suo. In effetti, in ciascuno di quei volti si intravedeva tutto un silenzioso lavorio mentale, per identificare le parole che meglio si adattassero a ciò che dietro il volto si muoveva.

Uno dei cittadini là in mezzo ha trovato dentro di sé parole forse prevedibili, e che tuttavia gli sembrava di dire seriamente a se stesso per la prima volta: “Uomo della pace” e ” Vicario di Cristo”. Il Papa, costui ha sentito allora, non è semplicemente un uomo di pace (nella retorica un po’ compiaciuta del pacifismo): è l’uomo che incarna la pace. Si pensa di solito alla diplomazia come tecnica, ma il Papa rappresenta la base metafisica della diplomazia in quanto conciliazione.


LETTURE/ "Il Papa delle cose nuove", capire l'enigma-Prevost tra codici binari e Agostino


Quanto al “Vicario”, la tentazione cui il cittadino non ha resistito è stata quella di fare un salto mentale anche troppo audace; e immaginarsi per qualche momento (suggestionato in parte da alcune opere di fine Ottocento che gli erano rimaste impresse): Se Cristo stesso fosse entrato a Bologna? Un po’ come Dostoevskij aveva descritto, con “La leggenda del Grande Inquisitore”, il Suo silenzioso ingresso in città; o come il pittore belga James Ensor aveva dipinto con colori violenti in quel quadro-shock del 1888 che è “L’ingresso di Cristo a Bruxelles”.   

Ma poi quel cittadino si è reso conto che non si trattava di nascondersi dietro rievocazioni artistico-letterarie, bensì di rispondere francamente alla domanda: Che cosa sei andato a vedere tu, nel deserto? 

E qui è avvenuta la (piccola) metamorfosi. Fino a quella strana giornata di inizio-ottobre, infatti, lui avrebbe continuato a pensare a Bologna, se non come un deserto, come a qualcosa di simile a una gabbia. Questa città troppo grande per riconciliarsi con il suo stato di provincia, e troppo piccola per illudersi di essere una delle tre o quattro (o due) grandi città italiane; questa città che (a eccezione di un pugno d’anni che non hanno cambiato nulla) non ha mai mutato il suo regime politico dal 1945 a oggi, tendendo così a imporre una plumbea mediocritas.

 Ebbene, no: tutto può cambiare. Dove entra il Vicario di Cristo, si dissolvono spiritualmente tutte le strutture prefissate (urbanistiche, politiche ecc.). E forse è questo il deserto (un buon deserto) di cui parla il Vangelo; con la sua possibilità di ricominciare sempre di nuovo, di introdurre la modesta ma decisiva differenza dell’individuo.


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