Caro direttore,
le scrivo in merito alla vicenda dei cosiddetti “fascisti sul monte Kenya” riportata da Repubblica a firma di Paolo Berizzi, in cui si riporta di tre esponenti di estrema destra che hanno ripercorso la scalata del Mount Kenya effettuata in modo avventuroso nel ’43 dal funzionario italiano Felice Benuzzi e dai suoi compagni dopo essere evasi dal campo di prigionia britannico dove erano prigionieri.
Può essere stato inopportuno l’omaggio del gagliardetto dei “Lupi delle Vette” (questo il nome del gruppo) all’ambasciatore italiano in Kenya, e forse ancor più riceverlo. Il punto però che qui mi preme di sottolineare è un altro. A mio avviso l’avventura degli italiani nel ’43 è stata strumentalizzata sia a “destra” che a “sinistra” per fini politici senza coglierne la bellezza.
Quasi venti anni fa ho vissuto e lavorato per tre anni in Uganda e e ho potuto svolgere varie ascensioni tra cui il Monte Ruwenzori e il Monte Kenya. Proprio in quel periodo mi capitò di leggere il libro Fuga sul Kenya di Felice Benuzzi e per l’esperienza che stavo vivendo fu facile per me immedesimarmi ancora meglio nell’avventura descritta dal libro, soprattutto per quanto riguarda l’ambiente e la natura selvaggia di quei posti. L’aspetto più bello e rilevante di quella vicenda è l’avventura alpinistica e spavalda più che lo sfondo politico. I tre — Felice Benuzzi, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti — privi di un’attrezzatura adeguata e di una cartina geografica prepararono per settimane l’impresa, mettendo da parte viveri e un’attrezzatura rudimentale fatta con materiale di scarto.
Non so se fossero fascisti convinti o meno, ma in quel frangente ciò che emerge è il loro animo di alpinisti, magari anche in stile un po’ militaresco. Anche il fatto di aver messo la bandiera italiana in cima al Monte Kenya non lo vedo come una mira colonialista ma come una semplice espressione di spirito patriottico, comune a quei tempi, e una smacco verso gli inglesi. Questi infatti, dopo che i tre fuggitivi rientrarono in prigione, partirono per il Monte Kenya per togliere la bandiera italiana e mettere quella inglese. Per questo mi pare scorretta la strumentalizzazione sia da parte dei tre esponenti di estrema destra che sono saliti ora sul Kenya, sia, allo stesso modo, fuori luogo — come ha fatto Repubblica — definire i tre militari semplicemente come fascisti colonialisti. “17 giorni di libertà”, è il sottotitolo di Fuga sul Kenya: a mio avviso non tanto perché erano fuori dalla prigione, ma perché in quei 17 giorni i tre italiani poterono vivere e soddisfare il loro desiderio di avventura e di alpinismo. Lo stesso desiderio descritto da Ettore Castiglioni, che, pur essendo dichiaratamente antifascista, non visse il proprio alpinismo come strumento antifascista, ma innanzitutto come esperienza di libertà. “Vorrei tanto poter ritornare tra i monti — scrive Castiglioni nelle ultime pagine del suo diario — per ritrovarmi, per ritrovare tutta la mia energia, il mio spirito d’iniziativa, la mia volontà d’azione, il più vero me stesso”.