Che cosa resta dell'amicizia che si fonda sulla fede reciproca se questa viene tradita? Lo spiegò Catullo, poeta dell'antica Roma, ma vale ancora oggi. LAURA CIONI
Alfeno che dimentichi, che inganni i veri compagni,
non hai pietà di questo tuo povero amico?
Non ci pensi a ingannarlo, a tradirlo?
Anche i cieli odiano l’infamia di chi inganna.
Tu non ci badi e mi lasci misero nei mali.
Dì, che cosa fanno gli uomini o verso chi sono fedeli?
Certo volevi che io tradissi la mia anima,
inducendomi in un amore in cui tutto pareva certezza.
Ora ti tiri indietro e lasci che le tue parole e le tue azioni
diventino vento e nebbia.
Se tu dimentichi, gli dei ricordano, ricorda la Fedeltà,
che ti farà pentire, più tardi, di ciò che hai fatto.
Catullo, carme 30
Non molto sappiamo dell’autore. Era nato nell’84 circa a Verona e nella sua breve vita (trent’anni) fece in tempo a vedere la dittatura di Silla, le proscrizioni, la rivolta di Spartaco, la congiura di Catilina, il primo triumvirato. Fa parte del circolo neoterico, che introdusse a Roma una poesia raffinata di una gioventù inquieta e ricca, consapevole di cantare sull’orlo di un abisso, quello delle antiche costituzioni repubblicane.
L’amico a cui si rivolge Catullo in questi versi è probabilmente Publio Alfeno Varo, di Cremona. Non è dato sapere a quale genere di amore si riferisca il poeta e non si è autorizzati a sospettare una relazione omosessuale. Più interessante l’analisi di un testo breve, costruito con maestria, nel quale si cela un sentimento di forte riprovazione.
L’antitesi è tra il ricordo e la dimenticanza, sia nel primo verso, sia negli ultimi due. Ma il vero tema è la Fides, voce quasi intraducibile per la pluralità dei suoi significati: fedeltà, fiducia, lealtà, fede, infine. Fede scomparsa tra gli uomini, ma che veglia sulla loro smemoratezza. Fede non fine a se stessa, ma portatrice di un tardivo pentimento.
Davvero molto precisa questa composizione, nell’accenno a situazioni non insolite nelle relazioni tra amici, quando uno manca di pietà e l’altro soffre. Qui non c’è lamento o rimpianto, ma solo la contrapposizione di durezza e di dolcezza, nel verso 2 e l’evocazione della vanità delle promesse con l’immagine del vento e della nebbia, al verso 10.
Dedicato a F.C.
Nel caso lo legga, potrebbe riconoscersi.