Sarà perché l’autore è un insegnante, oltre che uno studioso attento e un appassionato lettore, ma il nuovo libro di Carlo Bortolozzo fa riscoprire l’importanza di avere un maestro. Si tratta di una raccolta di saggi sulla letteratura italiana, più che altro introduzioni alla lettura di opere del Novecento, ma con un affondo sulla Vita di Vittorio Alfieri, il testo iniziale più lungo, che dice di una predilezione dell’autore e dà l’accento particolare, volitivo e inquieto, così alfierano, a tutto il libro.
Proprio parlando di Alfieri, infatti, e citando Vico, filosofo che qui ricorre spesso (si veda Pavese), Bortolozzo dà il tono al suo racconto: “La presenza di un animo ‘perturbato e commosso’, direbbe Vico, è la prova della vocazione autentica di uno scrittore: se ‘nel leggere i più sublimi squarci dei più sublimi autori, altro non sente nascere in sé che commozione e diletto, egli è come i molti che stupidi non sono; se vi aggiunge la meraviglia, egli può giustamente riputarsi qualche cosa in più'”.
Con questa indicazione Carlo Bortolozzo interroga le opere principali di autori quali Pirandello, Svevo, Tomasi di Lampedusa, Pavese, Fenoglio, tra gli altri, cercando il nesso con la conoscenza e l’esistenza dell’autore e del lettore e scorgendo sempre motivi di “meraviglia”. Alcuni altri, tralasciati da un canone scolastico sempre più vago e confuso in Italia, sono valorizzati di nuovo, dimostrandone l’attualità: tra questi, Emilio Lussu, Giorgio Bassani e Anna Maria Ortese.
Bortolozzo non teme neanche di esporre nettamente il suo giudizio: “Una questione privata (Fenoglio) ci appare sempre più come uno dei massimi romanzi del Novecento italiano”, affermazione che sembra valida anche per Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Il giardino dei Finzi-Contini di Bassani, scrittore, siamo avvertiti dall’autore di questo libro, danneggiato da un pregiudizio critico sessantottino che ancora impedisce ai lettori e alla scuola di incontrarne il grande talento narrativo e antropologico, cosa che invece non è accaduto in campo cinematografico.
Carlo Bortolozzo, dunque, è un maestro perché sa condurci per mano nel campo seminato della tradizione letteraria; e noi abbiamo bisogno di essere introdotti, in letteratura come in qualsiasi altra disciplina, nel cuore della questione. Certo, i libri dovrebbero parlare da sé: ma nel caso dei classici, anche se vicini nel tempo, è proprio la distanza a far sì che abbiamo bisogno di qualcuno che ci abbatta certe difficoltà legate alla lontananza cronologica. Ma, come ogni buon maestro, Bortolozzo ci dà qualche indicazione, soprattutto ci dice perché si può amare quell’opera, e poi rilascia la nostra mano. Il segno di questo è che, finito di leggere ogni suo capitolo, ci vien voglia di procurarci e leggere, perfino rileggere, il libro di cui ci ha parlato, per verificare se un’identica passione può accendersi anche in noi. Ecco perché occorre un maestro, appunto.
Carlo Bortolozzo, “Della terra e del cielo. Figure e paesaggi della letteratura”, QuiEdit, Verona 2017, pp.132, 12euro