Il nuovo saggio di Giuseppe Gagliano Guerra economica. Guerra della informazione (goWare, 2018) tratta del ruolo centrale assunto nei conflitti dalle strategie che presiedono all’uso dei mezzi di informazione. Il pensiero che guida quest’avvincente lettura è quello di Christian Harbulot, fondatore dell’École de guerre économique di Parigi. Spesso sottovalutato, il ruolo dell’informazione è divenuto oramai centrale nella geoeconomia ma anche nelle rivolte popolari. Basti pensare che la più parte delle rivoluzioni hanno avuto successo quando sono state capaci di far perno sui mezzi di comunicazione. Come fa notare il generale Carlo Jean nella prefazione al testo, dalla rivoluzione iraniana di Khomeini, che dall’esilio muoveva le folle con il “semplice” utilizzo di audiocassette, fino ad arrivare alle primavere arabe e alle più recenti proteste in Algeria, in cui i social media hanno svolto un ruolo predominante, l’informazione è stata l’ago della bilancia nell’indirizzare l’emotività delle piazze.
Tuttavia l’informazione sembra raggiungere i suoi massimi risultati nella guerra economica. Qui Gagliano offre una ricca serie di casi studio: da quello del gruppo Danone oggetto, nel 2007, di una campagna diffamatoria in cui si sosteneva che la filiale romena realizzasse prodotti contenti diossina, al caso Perrier, accusata di un errore umano sulle procedure sanitarie. Danone, dopo varie analisi, riuscì a dimostrare la sua “innocenza” ma le sue vendite calarono del 20%. L’azienda Perrier, invece, che nel 1989 vantava un fatturato di notevoli dimensioni, perse gran parte del suo mercato americano – preoccupato peraltro dell’espansione dell’azienda nel Paese – e divenne preda di un’Opa da parte del gruppo Nestlé.
Una delle intuizioni più interessanti e attuali del libro è quella che riguarda “l’inversione dei rapporti di forza nella guerra dell’informazione”. Un paradigma capace di sovvertire lo storico equilibrio gerarchico tra il debole e il forte perché, come sottolinea l’autore, “la società dell’informazione ha donato agli attivisti della società civile i mezzi per invertire i rapporti di forza” tra queste due categorie. Gli strumenti più utilizzati ed efficaci per favorire questo salto di paradigma sono stati in prevalenza i social network. Anche in questo caso gli esempi non mancano. Gagliano tratta in maniera dettagliata il boicottaggio lanciato da Greenpeace contro il gruppo petrolifero Shell. Con un ricco dossier la Ong accusava la compagnia inglese di voler smantellare una piattaforma non più operativa nel Mare del Nord con gravi rischi per lo stato dei fondali marini. Seguirono una serie di campagne spettacolari ampiamente diffuse dai media. Nonostante tutto, nel 1995, uno studio di 33 esperti dichiarò che l’affondamento della piattaforma non avrebbe costituito un pericolo e Greenpeace pose le sue scuse. Tuttavia, mentre l’immagine di Shell è stata fortemente colpita, quella della Ong non ne ha risentito.
Al di là dei numerosi case study capaci, con grande coerenza, di far luce su vicende per i più dimenticate, il nuovo saggio di Gagliano, in linea con gli studi dell’autore sulla guerra economica, ha il merito di svelare come l’informazione sia un vero e proprio “moltiplicatore di potenza” nella guerra e nella geoeconomia. Il potere comunicativo diventa, così, strumento di vantaggio economico capace di modellarsi su più ambiti, dall’ambiente alla salute, mettendo in crisi la credibilità e la forza degli attori che operano nei più svariati settori dell’economia. Il risultato di questa guerra economica obbliga gli Stati a rivedere le loro strategie e il loro ruolo poiché devono essere capaci di rispondere contemporaneamente alle evoluzioni del mercato, alle crisi finanziarie ma anche – e soprattutto – alle rivendicazioni delle categorie sociali e professionali. Gli Stati, le imprese e le organizzazioni non governative utilizzano internet e i social media per destabilizzarsi in maniera reciproca, spesso a vantaggio di queste ultime. Detto in altri termini, nella guerra geoeconomica e dell’informazione di Gagliano, l’immagine di Davide contro Golia sembra essersi invertita, forse in maniera irreversibile.