Tommaso Spazzini Villa ha chiesto ai detenuti di ispirarsi alle parole dell’Odissea. Ne è nata la poesia di “Autoritratti”, un viaggio alla scoperta di sé

Nelle carceri ne succedono tante! No, per una volta, non si allude qui a qualche fatto di cronaca nera, non si parla di violenze o di rivolte. Nemmeno degli irrisolti problemi che affliggono il “sistema”, dal sovraffollamento alla povertà dei mezzi, dalle strutture deboli all’assistenza sanitaria che non si può proprio chiamare così. Questa volta, parliamo di una cosa bella e sorprendente.



Per circa due anni, dal 2023 al 2024, un artista, Tommaso Spazzini Villa, ha portato “dentro” l’Odissea. Seguendo una modalità creativa che non è solo sua, ma sicuramente ancora poco praticata, ha scelto di far parlare l’antico poema in un modo assai atipico.

Ha strappato a una a una le pagine dell’Odissea e, a caso, le ha consegnate a gruppi di detenuti di diverse carceri, invitando ciascuno a sottolineare le parole in cui si ritrovava e da cui si sentiva descritto o coinvolto. Dopo qualche resistenza, nelle varie sedi in cui Spazzini Villa ha lavorato, l’adesione c’è stata, tanto da produrre ora un libro: Autoritratti, pubblicato da Quodlibet.



La scelta del poema omerico è stata molto ponderata e risulta felice. L’Odissea contiene sì le “avventure” di Ulisse, ma questa sarebbe una lettura semplicistica. In realtà, il poema canta la nostalgia, il dolore e la lontananza, la perdita che non si colma.

Ulisse cerca di tornare a casa, ai suoi affetti, a moglie e figlio… ma oltre che la terra natia, cerca molto altro, soprattutto sé stesso. Non è una ricerca dissimile da quella che investe coloro che sono in prigione, come attestano alcuni “prodotti” usciti dalla selezione che i lettori hanno fatto tra quelle pagine strappate:



“Ho sbagliato / ma / intanto / arrivo”. “Vorrei / morire al mio focolare / amato”. “Ritornare / per te / che / sei / sempre / splendida”.

Chi sta parlando in questi versi? E ancora: “Stranieri / siamo / tutti / sulla Terra”. “Non trattenermi più / mi preme / andare / a casa”. “Vieni / straniero / disperso dalla nave / al più presto / tu ottenga aiuto”.

Colpisce come il metodo e la “materia poetica” su cui hanno lavorato i reclusi, molti dei quali – come specifica Spazzini Villa – non avevano mai incontrato prima l’Odissea e anzi non ne sapevano nulla, costruiscano profondità. L’epigrammatica forza di alcune “poesie” generate dalla grande poesia omerica, passata attraverso le loro mani, i loro occhi, i loro cuori, è notevole e grande.

“Desidero / vedere il / mare / perché / ho sofferto”. “Un cuore di ferro / ti ha spinto? / rispondi sincero”. “Distruggersi / le ali / lacerandosi / il cuore”.

C’è di che pensare. Non tutto è sereno in questo lavoro: alcuni “prodotti” sono inquietanti e pongono domande più che dare indicazioni:

“Un giorno / vedrò / nell’animo / la / risposta”. “Ti rispondo sincero: / io non so / più / (niente)”.

Molte strade si trovano tra queste pagine. E non è certo strano: dove trovar strade, e percorsi, viaggi e ritorni, se non nell’Odissea?

Così il lavoro fermamente voluto dall’artista ne ha fatti nascere molti altri e ancora diversi e di più potranno seguire leggendo questo Autoritratti, che stupisce ad ogni pagina, ponendosi non solo e non tanto come una lettura, ma come un’occasione di sviluppo, uno spazio di pensiero e di riflessione, ma anche di cura delle emozioni. Biblioterapia, si può dire: una terapia bella, armoniosa, ricca e soddisfacente, come solo la poesia sa e può fare.

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