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Home » Cronaca » DAL CARCERE/ “La Speranza opera sempre”: i miracoli di Livatino dopo la sua morte

  • Cronaca

DAL CARCERE/ “La Speranza opera sempre”: i miracoli di Livatino dopo la sua morte

Alessandro Cozzi
Pubblicato 25 Giugno 2024
Il giudice Rosario Livatino in uno scatto dell'epoca

Il giudice Rosario Livatino (1952-1990) in uno scatto dell'epoca (Foto dal web)

"Sotto la protezione di Dio": il motto di Rosario Livatino era vero in tutto ciò che il giudice faceva. Il suo sguardo di misericordia continua a operare

Sub tutela Dei è il titolo di una mostra e di un convegno ospitati recentemente nella Casa di reclusione di Opera, per iniziativa dell’Associazione Incontro e Presenza, sulla figura di Rosario Livatino, giudice siciliano ucciso nel settembre del 1990 e proclamato beato dalla Chiesa.

Quel titolo – “Sotto la protezione di Dio” – è il motto di Livatino, che fu persona comune, con un percorso di vita “normale”, e proprio qui va cercato il fondamento della sua santità. Il convegno, dopo un’apertura coinvolgente in cui un detenuto, Alessandro, ha declamato una poesia di Davide Rondoni dedicata a Livatino e poi alcuni volontari hanno cantato “La canzone del melograno”, è stato avviato da Guido Boldrin, responsabile di Incontro e Presenza, il quale ha insistito sul fatto che Livatino si considerasse un operatore di giustizia e, per esserlo, abbia sempre creduto che la legge fosse un mezzo e non un fine del suo operare. Nessun uomo può essere appiattito sul suo reato e Livatino lo sapeva bene, trattando sempre con rispetto ogni persona incontrata, per sottolineare che questo sono tutti: persone, al di là dei ruoli o dei comportamenti.


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Poi è intervenuto l’avvocato Paolo Tosoni, curatore della mostra che da due anni viene proposta in scuole, centri culturali, tribunali. Ha spiegato come sia stato progressivamente “conquistato” dalla sua figura mentre raccoglieva testimonianze e ne approfondiva la conoscenza. Ne ha tratteggiato in breve la vicenda umana e spirituale sottolineando l’“unità di vita” del beato, che lo ha portato e credere fermamente in ciò che faceva, non arretrando nemmeno quando la possibilità di essere fermato con la violenza s’era fatta molto concreta. Ha mostrato un filmato con parecchie testimonianze su Livatino, che ha avuto il suo fulcro nell’intervista a Piero Nava, unico testimone dell’omicidio, che ha deciso di compiere fino in fondo il suo dovere civico, permettendo così agli inquirenti di giungere a scoprire esecutori e mandanti, ma che da allora (34 anni!) vive nascosto, sotto protezione, separato dalla propria famiglia. Poi ha parlato Ilaria Perinu, sostituto procuratore a Milano, che ha colpito il pubblico specialmente quando ha detto “sarebbe bello che noi tutti magistrati fossimo come lui”, evocando un’identificazione tra giustizia e carità, cosa molto difficile nella quale Livatino è stato maestro. Il comandante della Polizia Penitenziaria Amerigo Fusco ha coinvolto tutti con riferimenti anche molto personali e una riflessione sull’autentica possibilità di scelta che tanti in realtà non hanno, quando si nasce in certi ambienti o in certe famiglie, come forse è accaduto anche ai giovani che uccisero Livatino.


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Dai loro interventi è emerso con vivace chiarezza come Livatino abbia dedicato la vita alla Giustizia con la “G” maiuscola, che nella sua professione significò comprendere sino in fondo sia l’imputato sia chi chiedeva giustizia. Sempre tormentato dal timore di commettere errori, consapevole che l’unico “vero” giudizio è quello di Dio. Un pm che nelle sue istruttorie si dedicava quasi maniacalmente alla cura dei particolari, all’analisi attenta delle dinamiche della criminalità per arginarle, sempre rispettando tutti.

Infine, la forte, commossa e sincera testimonianza di una delle persone coinvolte nel fatto, che ha riconosciuto di aver agito all’epoca su pressioni e indicazioni di altri – nemmeno conosceva quel giudice – ma poi, negli anni, più apprendeva cose su di lui, peggio si sentiva. Un punto di svolta accadde quando vide in televisione l’incontro tra papa Giovanni Paolo Il e i genitori di Livatino, che non mostravano né astio né desiderio di rivalsa e che anzi sapevano perdonare, perdonare anche i killer. Lì s’è avviato un lungo percorso di rivisitazione di sé e di allontanamento da quelle azioni, da quella rabbia, da quell’errore. Oggi sente su di sé uno sguardo di misericordia, benché la sua pena sia tuttora in essere. “Quel giorno, su quel viadotto, non è morto solo il giudice Livatino. È morto anche quel ragazzo di 23 anni pieno di rabbia. lo, adesso, sono rinato”.


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Le sue parole hanno confermato ciò che all’inizio aveva detto Tosoni che, riferendo i molti luoghi e siti percorsi con la mostra, aveva raccontato di aver toccato con mano una cosa che Livatino ha detto spesso e lasciato scritto: la Speranza continua a operare, sempre. E infatti i suoi assassini si sono tutti convertiti. E se non è un miracolo questo…

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