Francia: Lecornu è durato poche ore, ma tratterà fino a mercoledì. Macron verso il fallimento della sua politica. La chance socialista è poco percorribile
Lecornu che si dimette dopo poche ore, Lecornu che prova fino a mercoledì a trovare un accordo anche se non vuole più essere il primo ministro. Quella che va in scena in Francia, spiega Francesco De Remigis, già corrispondente da Parigi ed esperto di politica francese, in realtà è una crisi di sistema a cui l’ha portata il presidente Macron.
L’esito di questo supplemento di tentativo da parte di Lecornu sarà probabilmente l’ennesimo fallimento. E anche l’eventuale conferimento dell’incarico a un leader di sinistra, come chiedono i socialisti, potrebbe non portare a niente. Macron sarebbe costretto a sciogliere l’Assemblea nazionale per andare al voto e a veder crescere la possibilità di un accordo tra Le Pen e neogollisti.
Come mai il governo Lecornu non è neanche partito?
In realtà è partito, è durato poco meno di 14 ore. I ministri riceveranno anche un’indennità di circa 28mila euro per una notte. Sul piano politico, principalmente, questa ipotesi di governo era un fallimento già scritto, perché mettere a punto un programma che soddisfacesse ampia parte del centrodestra e spicchi di centrosinistra era sostanzialmente impossibile.
Lecornu ha prima addossato la colpa ai socialisti, poi ha discusso con il centrodestra, perché?
I socialisti hanno chiesto la sospensione della riforma delle pensioni, in nome della “rottura” con il passato promessa da Lecornu, per non sfiduciarlo, e sono stati scansati. Il centrodestra sembrava della partita, ma ha avuto una sorpresa, ed è tornata in campo la politica dei partiti, le necessità di far prevalere ego e interessi elettorali. Nessuno dei leader è più disposto a firmare assegni in bianco alla “Macronie”.
Perché il primo ministro non è riuscito a garantire neanche la coesione interna dell’esecutivo?
Di fatto, stando alle ricostruzioni del leader dei Républicains, il neogollista Bruno Retailleau ministro dell’Interno, Lecornu ha giocato sporco, o quanto meno non lealmente con colui che doveva essere il suo primo alleato. Il giovane premier macroniano, già con una larga esperienza di crisi, ha infatti impiegato 26 giorni per formare il governo, provando a sondare socialisti e neogollisti.
Cosa ha concluso?
Alla fine ha chiuso un accordo con il centrodestra francese, condividendo la lista dei ministri proprio con Retailleau. Che ha digerito un governo fotocopia del precedente, ma non la presenza, a suo dire appresa dalla televisione, del nome simbolo delle ricette economiche degli anni di Macron, che hanno fatto balzare il debito pubblico francese al record del 113% del Pil: Bruno Le Maire, ministro titolare dell’Economia e delle Finanze, entrato come ministro della Difesa.
Per Retailleau una presa in giro rispetto alla promessa di “rottura” con il passato. Insomma, Lecornu, nonostante le promesse, non ha rinnegato il solco macroniano. E al 27esimo giorno da premier si è dimesso, dopo aver annunciato la squadra di governo la sera prima.
Ora Macron ha dato tempo fino a mercoledì a Lecornu per definire una piattaforma di azione. Un tentativo disperato o ha qualche speranza di riuscita?
L’ipotesi più plausibile è che non arrivi a meta. Lecornu dovrebbe chiudere un accordo in 48 ore dopo non esserci riuscito in un mese. Sarebbe curioso. E darebbe ai francesi, già sfiduciati dalla classe politica, il colpo di grazia. L’accordo sarebbe frutto di manovre di Palazzo, elettoralistiche, più che di un programma nell’interesse dei cittadini.
Retailleau ha parlato di un “problema di fiducia”, sopraggiunto con Lecornu. È un tema, ma non il solo. E poi ieri Lecornu ha fatto filtrare la sua non volontà di accettare un bis, provando a elaborare una “piattaforma di azione per la stabilità del Paese”, qualunque cosa voglia dire.
Basterà il passo indietro di Bruno Le Maire per consentire la nascita del governo?
Retailleau è ambizioso, guarda all’Eliseo 2027. E ha buone chance. Stare al governo con i macroniani, finora, gli ha permesso di imprimere una svolta a destra alle politiche sull’immigrazione. E se riuscisse a ottenere un governo a sua immagine, pur senza intestarselo, sarebbe comunque un buon viatico per la corsa alle presidenziali. I suoi Républicains hanno detto che non vogliono fare da stampella, sono quelli che rischiano meno, in questa fase.
Cosa vogliono fare?
Restano guardinghi, non vogliono farsi imbrigliare. Se vedono un vantaggio, sono pronti a concedere qualcosa a Lecornu. Altrimenti, come accaduto finora, se non c’è accordo chiaro entro mercoledì sera, la palla torna all’Eliseo. Che sembra propendere per lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, con nuovo voto legislativo e lì, dopo il voto, si peseranno i nuovi equilibri politici.
Il Partito socialista ha chiesto a Macron di nominare un primo ministro di sinistra. Pur di evitare le urne il presidente potrebbe acconsentire?

Lo ha fatto il Ps, lo hanno fatto i verdi. Ma non il partito di Mélenchon, che allo stato attuale è pur sempre il primo partito dell’alleanza con cui, nell’estate 2024, il Nuovo fronte popolare (NFP) aveva chiesto la stessa cosa a Macron, e lo avevano fatto tutti insieme. Un nome della sinistra a Matignon. Ma oggi sono più divisi che mai. E questo, per Macron, è già un risultato ottenuto. Ma a spese della Francia, perché l’instabilità dura ormai da un anno e più.
Ma la sinistra sarebbe in grado di garantire una maggioranza solida?
Allo stato attuale no. L’estrema sinistra ha convocato un tavolo per oggi, invitando i socialisti a dialogare. Sembrano però parlare lingue diverse, durante questa crisi e rispetto ad appena un anno fa. Neppure uniti avrebbero comunque i numeri per governare.
E se i socialisti hanno pure qualche chance, assieme ai verdi e ai comunisti, di attrarre qualche voto, assieme al partito di Mélenchon non avrebbero alcun sostegno di sorta altrove. Per questo restano smarcati. E sperano in un incarico dell’Eliseo, che allo stato attuale è ancora un miraggio.
A questo punto quanto crescono le possibilità dello scioglimento dell’Assemblea nazionale?
È l’ipotesi più probabile. Ma non la sola. Macron, nel suo ragionamento d’azzardo, potrebbe anche affidare ai socialisti un incarico da premier, consapevole che non hanno i numeri. Promettono di sospendere la riforma delle pensioni, e questo sarebbe uno smacco inaccettabile per Macron. Ma sapendo che non sarebbero in grado di formare una maggioranza, potrebbe essere un modo di prendere altro tempo. Tuttavia non conviene a nessuno, neppure al presidente.
Sarebbe una dichiarazione di fallimento del suo progetto di grande coalizione, sul modello tedesco. I neogollisti non ci starebbero. Neppure se i macroniani sventolano il rischio declassamento di Standars & Poor’s della Francia, come spauracchio per spingere i partiti storicamente di governo a un accordo, che parta dal centro o dalla gauche più istituzionale.
Quanto viene penalizzata la Francia dalla mancanza di un governo solido, che riesca a garantire almeno l’ordinaria amministrazione?
I consigli dei ministri possono essere convocati solo per questioni minori. Entro il 13 ottobre, sarebbe attesa la legge di bilancio in Aula. Può anche non arrivare, ma scatterebbe il tic tac dell’esercizio provvisorio. E sarebbe drammatico non solo per la Francia, ma anche per il resto d’Europa. Una paralisi a Parigi non giova a nessuno.
Il Paese rischia di pagare a caro prezzo l’ostinazione di Macron a insistere sulla strada centrista?
I titoli bancari hanno già affossato la Borsa. Ma politicamente si è innescato qualcosa. Per esempio, dalla destra, in particolare da Marion Maréchal Le Pen, si è tornato a parlare di una potenziale, ipotetica, ancora lontana intesa tra centrodestra neogollista o una parte di esso con i lepenisti. Modello italiano, insomma. Sembra wishful thinking, ma anche alcuni conservatori ci credono.
Macron cosa ne dice?
Per Macron è un incubo. Perché, con le scelte dell’estate 2024, aveva esattamente l’obiettivo inverso. Estromettere estrema destra ed estrema sinistra dal potere. Lo ha detto. E per questo insiste, ancora, con il centro che coccola i moderati.
Ma a forza di sterilizzare i partiti storici, le loro istanze, in nome del pericolo delle “estreme” ha finito per sterilizzare la crescita e innescato una crisi che non è solo politica, ma che ha già da tempo assunto i contorni di una crisi di sistema. Sembra di essere tornati infatti alla Quarta Repubblica, segnata da instabilità e minacce, se non ricatti, accordi e accordicchi.
(Paolo Rossetti)
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