In Francia sinistra e RN pronti a votare contro il piano del governo Bayrou per ridurre il sovraindebitamento. L'esecutivo cadrà
La Francia è sull’orlo di una crisi finanziaria e il primo ministro Bayrou lancia l’allarme proponendo un piano “lacrime e sangue” per bloccare un indebitamento cresciuto soprattutto nell’era Macron. “C’è il rischio – spiega Marianna Rocher, responsabile del RN per la 8ª circoscrizione dei francesi all’estero (Italia, Israele, Grecia, Turchia, Cipro, Malta) – di soffocare il bilancio pubblico”. Ma la proposta di tagliare i giorni festivi e ridurre il personale della pubblica amministrazione è stata già bocciata dalla maggior parte dei partiti.
La sinistra e il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella hanno già detto no, prefigurando una sfiducia certa per il governo nel voto previsto l’8 settembre. Sindacati e movimenti chiamano alla mobilitazione, mentre il Paese si avvicina sempre di più al voto con il RN in testa ai sondaggi.
Bayrou dice che la Francia è sull’orlo del sovraindebitamento. Come si è arrivati a questa situazione?
La Francia si ritrova oggi con un debito pubblico che supera i 3.300 miliardi di euro (oltre il 113% del PIL). Questo non è solo il frutto delle crisi esterne, ma soprattutto della cattiva gestione dei governi che si sono succeduti, incapaci di affrontare i problemi strutturali e troppo spesso inclini a rimandare le riforme necessarie. Dal 2017, sotto la presidenza Macron, il debito è cresciuto di circa 1.000 miliardi di euro, mentre la spesa pubblica è salita al 58% del PIL, il livello più alto di tutta la zona euro. In 8 anni, dal 2017, durante il regno di Macron, la Francia ha accumulato tanta nuova spesa quanto in 50 anni. Questo aumento è stato accompagnato da scelte politiche considerate inefficaci o dispendiose, senza un vero controllo dei conti. A ciò si aggiungono altri fattori di pressione: l’immigrazione (circa 1.000 ingressi al giorno e 153.600 domande d’asilo nel 2024, un record storico) e la moltiplicazione delle spese correnti per far fronte alle emergenze sociali.
Qual è il prezzo che paga adesso il Paese?
Un prezzo molto pesante: solo per gli interessi sul debito la Francia spende circa 60 miliardi di euro all’anno, una cifra che potrebbe salire a 75 miliardi nel 2026 e oltre 100 miliardi nel 2029. François Bayrou parla a ragione di una “maledizione del debito”: una spirale pericolosa che minaccia l’indipendenza economica del Paese e che è in larga parte conseguenza di una gestione governativa inefficiente e irresponsabile.
È davvero così preoccupante?
Sì. La crescita del debito e soprattutto degli interessi ha già iniziato a soffocare il bilancio pubblico. I soldi presi in prestito non servono più a finanziare investimenti produttivi, ma vengono consumati in spese correnti e assistenziali. Questo significa che la Francia ha ormai perso margine di manovra ed è costretta a subire le condizioni dei mercati e degli investitori internazionali. La situazione non è solo un rischio: è già una realtà. Sempre più investitori stranieri evitano la Francia e preferiscono rivolgersi all’Italia come destinazione sicura per i loro capitali. A questo si aggiunge l’instabilità politica, che aggrava ulteriormente la perdita di fiducia e rende più difficile trovare soluzioni credibili e durature.
Per rimediare il primo ministro propone anche di eliminare alcune festività e di non rinnovare 3mila contratti di lavoro nella pubblica amministrazione. È la strada giusta? Cosa dovrebbe fare invece?
Togliere giorni festivi come il Lunedì di Pasqua e l’8 maggio, che ricorda la vittoria contro il nazismo, significa colpire valori fondamentali e parte del patrimonio storico e culturale della Francia. In realtà, le vere riforme dovrebbero toccare tre grandi “tabù” che pesano enormemente sulle nostre finanze: l’immigrazione, che costa allo Stato circa 20 miliardi di euro l’anno; i contributi all’Unione Europea, da cui si potrebbero recuperare almeno 5 miliardi; le cattive spese della macchina statale, che rappresentano uno spreco stimato in 15 miliardi. Solo lo scorso anno sono entrate in Francia circa 500mila persone, ma soltanto 50mila di esse lavorano.
Voi cosa proponete?
Il Rassemblement National ha già proposto alcune piste concrete: la fine del diritto di suolo (ius soli, ndr) e il blocco del ricongiungimento familiare per ridurre drasticamente il flusso migratorio. Agire su questi tre fronti permetterebbe di ottenere risparmi molto più significativi e di ristabilire un equilibrio senza rinunciare alle nostre tradizioni e all’identità nazionale.
Bayrou chiederà un voto di fiducia, lo otterrà? Come si sono pronunciati i partiti su questo tema?
Il voto è previsto per l’8 settembre. La sinistra (LFI, socialisti, ecologisti e comunisti) e anche il Rassemblement National hanno già annunciato il loro voto contrario. Bayrou non dispone quindi della maggioranza necessaria. È altamente probabile che il governo non ottenga la fiducia e sia costretto a cadere. A quel punto si aprirebbero due scenari: o la dissoluzione dell’Assemblea nazionale, oppure le dimissioni di Macron.
C’è la possibilità concreta di uno scioglimento dell’Assemblea nazionale e di nuove elezioni?
Se il governo cade, Macron potrà scegliere: nominare un nuovo primo ministro o sciogliere l’Assemblea nazionale e convocare nuove elezioni. Lo scioglimento è molto probabile. Noi siamo pronti per nuove elezioni: otteniamo questa volta la maggioranza e governiamo il Paese.
Quali sono gli schieramenti che si possono presentare al voto?
Per quanto riguarda la gauche (la sinistra, ndr), è possibile una coalizione tra LFI, socialisti, ecologisti e comunisti, uniti per contrastare le politiche del governo. Il RN è al momento il partito più forte nei sondaggi ed è pronto a capitalizzare l’impopolarità del governo. Il centro macroniano (Renaissance, MoDem, Horizons) appare indebolito e diviso, pur mantenendo il governo: secondo i sondaggi, circa l’81% degli elettori sfiducia Macron, evidenziando una forte crisi di consenso.
L’opinione pubblica come sta reagendo, si rischia una mobilitazione di massa?
Sì. I sindacati e vari movimenti hanno già lanciato un appello a bloccare il Paese il 10 settembre, due giorni dopo il voto. I sondaggi mostrano che l’84% dei francesi è contrario alla soppressione dei giorni festivi, e il clima sociale ricorda quello dei gilet gialli. Si prospetta quindi una forte tensione, con rischio di mobilitazioni di massa.
(Paolo Rossetti)
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