Da oggi in Francia si torna a parlare di manovra. Qualcuno alzerà la posta, ma la legge di bilancio sarà approvata. Come cambia (in peggio) il quadro
Ci aspetta una Francia appesa a trattative estenuanti, dove i partiti che appoggiano il governo Lecornu intenderanno far valere il loro peso politico per ottenere concessioni.
Il piano di Macron era di isolare le estreme; è riuscito a frastagliare il quadro politico, per farsene garante in ultima istanza, sortendo perfino l’effetto di mettere in moto una pagina nuova a destra, dove il Rassemblement National sta esplorando la possibilità di fare accordi di desistenza con alcuni repubblicani se si tornasse a votare.
“La manovra verrà varata, pur se tra polemiche e accordicchi. A preoccupare più di tutto è l’instabilità”, spiega al Sussidiario Francesco De Remigis, già corrispondente da Parigi ed esperto di politica francese. “La Francia è la seconda economia dell’Ue e una crisi politica prolungata potrebbe danneggiare l’Eurozona”.
In che modo Lecornu è riuscito a salvarsi dalle mozioni di sfiducia?
Ha scelto di trattare con il Partito socialista francese, che sta saldamente all’opposizione, cedendo a una delle richieste del Ps, la sospensione della riforma delle pensioni. Fino al 2027. Ha promesso che durante il suo mandato non farà ricorso alla forzatura con cui l’ex premier Elisabeth Borne, nel 2023, varò la riforma senza passare dal voto parlamentare, il cosiddetto articolo 49.3 della Costituzione. Lecornu ha detto che non lo userà. E si è impegnato a discutere le misure da inserire nella manovra di Bilancio in Aula, aprendo a emendamenti.
E adesso? Cosa succederà?
Il dibattito si riapre questa settimana. Tradizionalmente, sono i ministri dell’Economia e dei Conti pubblici a difendere la Finanziaria. “La legge sarà fatta qui, non a Bercy”, è stata la frase con cui Lecornu ha provato a certificare un nuovo approccio, ancora però tutto da sperimentare.
Vuol dire che ci sono delle incognite?
Certo. I socialisti, e più in generale l’intera sinistra, cercheranno di spingere l’agenda ben oltre le pensioni, proponendo per esempio la tassa Zucman, l’economista allievo di Thomas Piketty, che punta a tassare del 2% i patrimoni netti che superano i 100 milioni di euro.
Che cosa è cambiato nel suo governo e nel clima politico per avere un trattamento diverso rispetto a Bayrou e Barnier?
Dopo un governo durato meno di 14 ore, Lecornu ha fatto i conti con la realtà. Non aveva e non ha i numeri. Aveva promesso di rompere con il passato, ma nel suo primo esecutivo aveva inserito Bruno Le Maire, l’ex ministro e uomo-immagine delle ricette economiche di tutti gli anni di Macron, una contraddizione in termini con cui il presidente della destra repubblicana, che pure in quel governo sedeva come ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, ha rotto quella che sembrava una potenziale intesa con il centrodestra. Lecornu ha guardato allora a sinistra. E ha ottenuto un prolungamento della vita “centrista” dell’esecutivo.
La sospensione della riforma delle pensioni è il tributo pagato per avere sostegno parlamentare?
Più che sostegno parlamentare, possiamo parlare di protagonismo parlamentare, in cui i partiti, anche quelli di opposizione, come il Ps, hanno e avranno la possibilità di intervenire con emendamenti. Il presidente dei Républicains, Retailleau, ritiene che Lecornu sia ostaggio dei socialisti.
Ed è così?
Vedremo, ma la matematica dice chiaramente che se il Ps avesse votato la sfiducia assieme agli alleati di un tempo, oggi a singhiozzo, assieme ai lepenisti che hanno sostenuto compattamente la mozione di sfiducia delle sinistre, Lecornu sarebbe caduto. Si è aperta poi una polemica, da parte dei mélenchoniani, che fanno notare come la sospensione non sia cancellazione della riforma.
Su cos’altro dovrà fare concessioni Lecornu e a quali partiti, soprattutto quello socialista, o parti sociali?
Alle parti sociali, con cui pure ci sono state forti tensioni a settembre, ha proposto di organizzare una “conferenza” su pensioni e lavoro nelle prossime settimane. Nel discorso di politica generale, il premier ha sottolineato che non ci sarà nessun aumento dell’età pensionabile fino a gennaio 2028, come espressamente richiesto dalla CFDT (Confédération française démocratique du travail).
I costi?
400 milioni di euro nel 2026 e 1,8 miliardi nel 2027, senza contare la riduzione delle entrate fiscali, che dovrebbe portare il conto a oltre 3 miliardi. Ma costi a parte, c’è un tema politico.
Quale?
Quello sollevato da Michel Barnier, l’ex premier scelto da Macron dopo la crisi dell’estate 2024. Barnier ha stigmatizzato “la demagogia” di Lecornu sulle pensioni: era la madre di tutte le riforme del secondo mandato Macron, con cui le piazze si erano incendiate, e improvvisamente si può sospendere.
La France Insoumise si è schierata contro il nuovo esecutivo, come mai la sinistra si è nuovamente spaccata?
Non solo LFI di Mélenchon, ma anche ecologisti e comunisti e altre piccole sinistre si sono schierate sin da subito contro Lecornu, in quanto espressione del presidente Macron, con cui Lecornu ha sempre lavorato sin dal 2017. Ed essendo considerato Macron il problema, artefice di questa crisi, non hanno ceduto ad alcun accordo.
I socialisti hanno fatto un ragionamento politico diverso.

Sì, perché pur attaccando frontalmente il presidente della Repubblica, a cui attribuiscono la paternità di questa ennesima crisi, hanno scelto di “contare” mettendo dei paletti, provando a riattestarsi come un partito che ha voce e incide concretamente sull’azione dell’esecutivo come non accadeva dal 2016, quando il Ps era ancora al governo con François Hollande.
Vuol dire che Macron è riuscito a dividere una parte politica che unita poteva dargli fastidio?
Al contrario, credo abbia fallito in questo. Ha avuto un anno e quattro mesi per dare corso a questo suo obiettivo, isolare le estreme. Ci troviamo in un contesto in cui solo il Ps si è sganciato dall’alleanza, e vanta solo 69 deputati, 7 dei quali hanno peraltro votato la sfiducia con comunisti, ecologisti e mélenchoniani, che da soli sono comunque 71. Idem a destra. Nell’ultimo anno quasi e mezzo, il Rassemblement National non ha solo influenzato alcune politiche del ministero dell’Interno su sicurezza e immigrazione, ma ha pure costruito un ponte di ascolto con una parte dei Républicains, con alcuni dei quali c’è già un’interlocuzione in corso per eventuali intese di governo future, in caso di scioglimento dell’Assemblea nazionale e nuovo voto legislativo.
Ma allora, se l’effetto è controproducente per lui…
Grazie all’operazione Lecornu, Macron ha solo guadagnato tempo.
Quali sono le priorità ora del governo Lecornu e come dovrà procedere per avere un futuro?
Intanto, deve provare a tenere compatta la compagine presidenziale, che si è pubblicamente sgretolata e divisa anche andando all’Eliseo da Macron senza i suoi attuali leader. L’ex premier Gabriel Attal, che presiede il partito Renaissance, ha contestato pubblicamente il capo dello Stato dicendo di non comprendere più le sue scelte e alcuni deputati hanno detto che daranno battaglia in Aula alle promesse fatte da Lecornu ai socialisti. Idem il movimento Horizons dell’ex premier, sempre macroniano, Edouard Philippe, che ha addirittura chiesto che dopo il Bilancio il presidente Macron si dimetta.
Riuscirà il governo a varare la legge di bilancio?
Credo di sì, anche se tra polemiche e accordicchi. Non può esserci una linea politica chiara, un indirizzo. Lecornu lo varerà anche con il contributo dei neogollisti, la destra repubblicana, che da questa crisi è uscita divisa come partito: i suoi parlamentari si sono detti pronti a votare caso per caso i provvedimenti. Insomma, tutt’altro che un atteggiamento ostile al governo, che ha dentro 4 membri dei Républicains, che il partito ha sconfessato, ma per ora sono lì. E dunque i parlamentari guardano a cosa riusciranno a portare a casa.
In Italia si direbbe che hanno vinto le poltrone.
È così. Neogollisti e socialisti hanno ceduto all’emergenza con la speranza di avere qualche guadagno politico, e anche perché qualcuno temeva di non essere rieletto in caso di scioglimento dell’Assemblea nazionale, dunque meglio stare sul seggio e provare a orientare la legge di Bilancio.
La possibilità di dimissioni di Macron o dello scioglimento dell’Assemblea nazionale è ancora concreta?
Si allontana ogni giorno di più. Ma affermare con certezza che il presidente possa arrivare al 2027, fino al suo ultimo minuto di mandato, come ha spesso ripetuto Macron, sarebbe davvero azzardato. La stabilità non caratterizza questa fase. Prima di eventuali dimissioni, chieste peraltro anche da alcuni del suo partito, e perfino dal suo primo premier, Philippe, ci aspetterebbe semmai un nuovo voto legislativo, per il rinnovo dell’Assemblea.
In questo caso, viste le prese di posizione parlamentari, quali schieramenti si presenteranno agli elettori?
Più o meno gli stessi disegnati dagli attuali gruppi parlamentari, coalizzati o meno. C’è però una novità che si profila all’orizzonte che riguarda le destre, in caso di voto.
Cosa farebbero?
Se alla scorsa tornata, come in quasi tutte le recenti, la destra repubblicana neogollista ha stretto accordi nelle circoscrizioni perfino con candidati comunisti pur di non far eleggere candidati lepenisti, nelle ultime settimane e mesi il RN ha iniziato un’interlocuzione con alcuni repubblicani. Il RN, primo nei sondaggi, si deve scontrare con i patti di desistenza che hanno sempre penalizzato i suoi candidati. In caso di voto, visto che la destra repubblicana non brilla nei sondaggi, potremmo assistere a intese nuove: Jordan Bardella lo ha lasciato chiaramente intendere. Non c’è ancora l’unità delle destre, ma qualcosa si muove.
Come influisce la crisi francese sulla UE?
Se parliamo dell’Europarlamento, il partito Renew, del presidente Macron, fatica a distinguersi e a indirizzare l’agenda come accadeva spesso in passato. Quando la Commissione ha avviato il processo di ratifica dell’accordo commerciale con il Mercosur il 3 settembre, si è affrettato a parlare di “eccellente opportunità per l’Unione Europea”. Poco dopo, Pascal Canfin, dello stesso gruppo e vicinissimo a Macron, ha presentato un’iniziativa trasversale volta a far sospendere l’accordo dalla Corte di giustizia dell’UE. Divisioni che si riverberano sulle intese, sulla credibilità.
Che cosa preoccupa di più?
L’instabilità. La Francia è la seconda economia dell’Ue e una crisi politica prolungata potrebbe danneggiare l’Eurozona. Rischia di influire sulle prospettive di crescita e sui negoziati per il bilancio Ue. Per non parlare della capacità di leadership diplomatica.
Cosa potrebbe avvenire in questo senso?
L’instabilità del governo potrebbe dar l’idea di un Paese non più in grado di contribuire a definire le riforme necessarie affinché l’Unione torni competitiva in un contesto geopolitico che vede protagonisti soprattutto Stati Uniti e Cina.
Quali sono le prossime scadenze significative?
Il 24 ottobre è atteso il giudizio di Moody’s, il 28 novembre di Standard & Poor’s. Sarà una prima cartina per orientarsi su come i mercati avranno percepito la nuova fase.
(Paolo Rossetti)
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