DALLA TURCHIA/ “Erdogan vi rimanda i jihadisti perché l’Europa sta coi curdi”

- int. Nihal Batdal

Ankara ha annunciato che da lunedì inizierà a rimandare a casa loro i jihadisti dell’Isis catturati dalla Turchia nel nord della Siria. Qual è l’obiettivo del “sultano”?

siria profughi rifugiati lapresse 2018 640x300 Rifugiati siriani (LaPresse)

Il governo di Ankara ha annunciato che da lunedì inizierà a rimandare a casa loro i jihadisti dell’Isis catturati dalla Turchia nel nord della Siria. Una decisione con la quale Erdogan vuole dimostrare ai paesi europei che quello che dice anche lo fa. La sua prima preoccupazione è distrarre l’attenzione dalla crisi economica e consolidare il consenso conto il nemico esterno. La sua leadership si sta appannando, ma molti nel paese credono ancora in lui, dice al Sussidiario la giornalista turca Nihal Batdal.

Come va interpretata questa decisione?

Sicuramente Erdogan non sta minacciando l’Europa per la prima volta: i migranti presenti in Turchia sono spesso stati utilizzati come strumento di ricatto. Ora, il rimpatrio dei jihadisti catturati in Siria credo abbia la stessa valenza, dire all’Europa che la Turchia è libera di prendere qualsiasi decisione nel merito, ma non solo.

Cosa intende?

Con l’attacco al nord della Siria sono stati colpiti colpiti i curdi, grazie ai quali il territorio è stato liberato dall’Isis; ora, con il rimpatrio, si vorrà sottolineare che l’Isis è anche il nemico della Turchia e non solo dei curdi.

Quali sono gli obiettivi di Erdogan in questa fase?

All’interno Erdogan sta cercando di ottenere fiducia aumentando sempre di più il livello del nazionalismo, evocando il sogno neo-ottomano con l’idea di una guerra giusta contro i terroristi curdi e cercando di coprire la profonda crisi economica che il paese sta attraversando.

E in politica estera per quanto riguarda le relazioni con Usa e Russia?

La politica estera invece è ben lontana dalle ambizioni neo-ottomane: la Turchia sta cercando di giustificare la sua presenza sul territorio siriano avvicinandosi a volte alla Russia a volte agli Usa. Attualmente truppe russe pattugliano il confine turco-siriano insieme a quelle turche, mentre solo pochi giorni fa Erdogan ha accusato la Russia e gli Stati Uniti di non avere rispettato quanto convenuto per il ritiro dei combattenti Ypg dal confine.

Dunque, come al solito, è una politica opportunista.

Sì. I rapporti con l’America cambiano in ogni momento: sia per l’acquisto da parte di Ankara dei sistemi di difesa russi, sia per i casi Halkbank e Feto (Fetullah Terrorist Organization, ndr) e da ultimo per il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Camera Usa.

Qual è oggi l’atteggiamento di Erdogan verso l’Europa?

Anche qui l’intervento in Siria è il punto chiave. Per Erdogan i paesi europei si schierano con i terroristi perché sostengono i combattenti curdi. Questo però non vale per tutti i paesi e infatti l’Ungheria, dove esiste una forte politica contro l’immigrazione, sembra un alleato: Orbán, nella conferenza stampa di giovedì in occasione della visita di Erdogan, ha detto che l’Ungheria è pronta ad aiutare la Turchia perché senza la Turchia non sarebbe possibile fermare la migrazione verso l’Europa.

Ma qual è il vero obiettivo della campagna siriana del presidente turco?

Con questa operazione Erdogan sta cercando di distogliere l’attenzione dai problemi legati alla crisi economica e di riguadagnare la fiducia nel paese. Ma c’è anche chi sottolinea che saremmo di fronte ad una vera e propria operazione di pulizia etnica: spostare i curdi e ricollocare gli arabi-sunniti, presenti attualmente in Turchia e richiedenti asilo, là dove i curdi, gli alleati arabi e cristiani hanno creato una regione relativamente stabile e di fatto autonoma durante la guerra civile siriana.

Sul fronte interno Erdogan deve fare i conti con la crisi del suo stesso partito, l’Akp, a causa dell’uscita di scena di alcuni dei suoi massimi esponenti. La leadership di Erdogan è in discussione?

I cittadini con le elezioni locali di pochi mesi fa hanno preoccupato abbastanza Erdogan. La perdita del Comune di Istanbul è stata sicuramente un duro colpo, poiché Erdogan stesso diceva che chi perde Istanbul perde il paese. Quindi la sua leadership è senza dubbio messa in discussione, non solo da chi non lo sostiene ma anche dal suo partito. In effetti, quelle dimissioni fanno pensare a un possibile dissolvimento. Ciò però non toglie il suo carisma, tanti ancora lo vedono come il salvatore del paese.

E l’impegno in Siria gli serve a questo scopo.

Sì. Consolida la sua figura di salvatore del paese dai nemici, terroristi e siriani.

(Marco Tedesco)





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