Trump e Von der Leyen sanciscono l’accordo sui dazi al 15%. Per la UE non è una vittoria, ma poteva andare peggio: reagire era troppo pericoloso
Poteva andare molto peggio. L’accordo sui dazi al 15% tra USA e UE sancito in Scozia fra Ursula Von der Leyen e Donald Trump avrà un impatto economico sull’Europa e sull’Italia, ma a queste cifre potrà essere bilanciato.
D’altra parte, spiega Carlo Pelanda, economista, più volte consulente dei governi italiani tra prima e seconda Repubblica, gli americani sono fortemente determinati a riequilibrare la loro bilancia commerciale e sfidarli con dei controdazi sarebbe stato molto pericoloso.
Von der Leyen, insomma, anche vista la debolezza dell’Europa, ha fatto buon viso a cattivo gioco e, anche se l’intesa non può essere giudicata una vittoria, non può neanche essere classificata una sconfitta.
La presidente della Commissione UE ha annunciato dazi zero per zero su una serie di prodotti strategici, chimici, farmaceutici e agricoli. Infine, Bruxelles ha promesso investimenti per 600 miliardi di euro e acquisti di gas ed energia per 150 miliardi di euro.
Gli USA impongono dazi al 15%, una sconfitta per l’Europa?
È difficile parlare di sconfitta: non è una vittoria, ma non è neanche una sconfitta. La mia prima sensazione è che poteva andare peggio: temevo che l’Unione Europea mettesse in campo una strategia che puntasse su una maggiore dissuasione, in termini di controdazi, una scelta che avrebbe reso la situazione ancora più difficile. Insomma, non è un bel risultato, ma è comunque migliore rispetto a quello che poteva essere, quindi è positivo.
La richiesta di Trump del 30% era una mossa per aprire la trattativa o per il presidente USA l’obiettivo era quello? L’Europa ha rischiato di arrivare fino a quel punto?
Questa era la minaccia. Il punto è che nel bilancio degli Stati Uniti erano già stati inseriti i guadagni derivanti dai dazi e dagli investimenti esteri. L’obiettivo non era solo il riequilibrio della bilancia commerciale, ma anche una ripresa degli investimenti in relazione a un progetto che non è di Trump, ma è molto più antico, il reshoring, per ridurre la dipendenza dall’estero.
Un progetto partito quando?
Obama aveva promosso accordi e trattati di libero scambio con lo stesso scopo di Trump, il ribilanciamento del dare e avere tra gli americani e i loro alleati. Poi l’amministrazione Biden ha messo a punto un programma di reshoring, per il ritorno delle aziende in patria, ma non è successo alcunché. Trump aveva dato il via a un tentativo in questo senso nel primo mandato, ora ci riprova con i dazi.
All’inizio degli anni ’50 l’America, che aveva paura di perdere gli alleati, creò la politica del commercio internazionale asimmetrico, in base alla quale gli alleati potevano esportare tutto quello che volevano negli USA senza che gli americani chiedessero in cambio la reciprocità. Con questo meccanismo ha incentivato gli alleati a mantenere un rapporto di coesione con l’America.
Poi cosa è successo?
L’America non è riuscita a cambiare questo modello. Ha dovuto far fronte all’avanzata della Cina. Il deficit commerciale americano ha cominciato a diventare insostenibile sul piano dell’economia reale e il Paese ha iniziato a deindustrializzare. Trump ha voluto riequilibrare la situazione, anche se usando un metodo economico sbagliato.
Dico che la trattativa poteva andare peggio perché l’America ha veramente bisogno di intervenire in questo campo: c’è una tendenza all’impoverimento degli Stati Uniti, con una classe media sempre più in ansia.
La percezione sociale della crisi americana per colpa degli stranieri, dell’eccesso di libertà che permette l’arrivo nel Paese di stranieri, togliendo lavoro agli americani, è diventata qualcosa di maggioritario. Certo, ora non sarà facile per alcuni settori industriali europei sostenere il peso dei dazi.
Oltre ai dazi poi influisce la svalutazione del dollaro che potrebbe aggiungere un altro 15% di costi in più?
Sì, anche se non raggiunge ancora il 15%. Trump vuole abbassare il valore del dollaro per rendere più competitivo l’export americano, che è fatto di gas, armi e servizi tecnologici. Per alcuni settori europei sarà dura gestire la situazione, ma è possibile. Certi settori italiani avranno un problema di margini aziendali.
Quali per esempio, l’agroalimentare?
È chiaro che se il parmigiano costerà oltre misura si rischia che vengano scelti prodotti locali, però per i prodotti di lusso non sarà un grande problema. Non sarà così, invece, per i prodotti di massa. Il Made in Italy di alto livello, tipo quello della moda, non credo soffrirà molto della situazione. Credo che questo 15% incorpori il 4-5% di dazi già esistenti, quindi l’aumento sarebbe del 10%.
Per le auto vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Penso che su questo la UE abbia negoziato una sorta di reciprocità. I settori colpiti li conosceremo meglio analizzando i dettagli dell’accordo. Trump ha detto, però, che in campo sanitario non vuole dipendere dall’estero.
Per i prodotti farmaceutici sarebbe previsto un accordo a parte. Il settore verrà penalizzato più del 15%?
È un settore al quale dobbiamo fare attenzione: l’export farmaceutico italiano ha un certo peso. Ma non possiamo ancora sapere come gli USA si regoleranno in relazione a questo comparto. Probabilmente Trump lo ha stralciato perché ha in mente un altro modello di sviluppo.
Cosa deve fare l’Europa adesso per attenuare l’impatto dei dazi?
Ha già attenuato molto l’impatto. Fossimo stati nelle stanze in cui si negoziano queste questioni, avremmo visto un’America determinatissima, lo so dai miei ricercatori americani. E teniamo conto che l’Europa è debole, anche se senza di essa gli USA non possono mantenere la posizione di primo potere globale. Nonostante questo, gli europei non si sono fidati a sfidare gli Stati Uniti con dei controdazi, ci sarebbe stato un crollo finanziario difficilmente riparabile.
Quali sono le controindicazioni del metodo Trump per riequilibrare la bilancia del commercio USA?
Il metodo che ha usato è pericoloso e anche sbagliato, destabilizza il commercio internazionale, rischia di portare inflazione e conseguenze sociali dal punto di vista del consenso nelle democrazie. Con i miei ricercatori abbiamo ripreso lo scenario del 1929-1930, quello della grande depressione mondiale.
Visto quello che ha rischiato l’Europa adesso cercherà anche di aprire di più ad altri mercati?
Fossi stato la Von der Leyen, avrei fatto lo stesso, facendo buon viso a cattivo gioco per questo negoziato, per continuare invece la proiezione geopolitica della UE sul piano commerciale ed economico in tutto il mondo. Per l’Italia avrei schiacciato l’acceleratore su programmi come il piano Mattei e i bilaterali strategici con una ventina di nazioni. Dopo questa vicenda bisognerà porre attenzione al trattato tra UE e India. Il negoziato è in corso, l’accordo potrebbe arrivare entro fine anno. Anche l’Italia ha un trattato bilaterale strategico con l’India.
(Paolo Rossetti)
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