Trump ha annunciato una nuova tornata di dazi riguardanti farmaci, mobili, divani, poltrone e mezzi pesanti

Nella notte tra giovedì e venerdì Trump ha annunciato una nuova tornata di dazi che include una tariffa del 100% sulle importazioni di medicinali, del 25% sui mezzi pesanti, del 50% sui mobili per la cucina e il bagno e prodotti correlati e infine del 30% su divani e poltrone. I produttori di farmaci potranno evitare il dazio semplicemente iniziando la costruzione di un impianto negli Stati Uniti. Non ci sono invece scappatoie per gli altri prodotti.



Seconde Olof Gill, portavoce dell’Ue per il commercio, questi nuovi dazi non verranno applicati alle esportazioni europee in virtù dell’accordo commerciale firmato da Donald Trump e Ursula Von der Leyen alla fine di luglio. In quell’accordo, infatti, i dazi venivano limitati a un massimo del 15%. Questa è la teoria, ma la pratica, visto quanto successo negli ultimi mesi, è tutta un’altra cosa. Nei messaggi social con cui il Presidente americano ha annunciato l’ultima svolta non ci sono dettagli e il resto del mondo, inclusi gli industriali europei e italiani, sono costretti a chiedersi quale possa essere il futuro.



Bisogna fare una premessa. L’accordo firmato da Bruxelles e da Washington non è l’unica cosa che conta per le imprese europee. I dazi applicati a Pechino da Trump impediscono nei fatti ai prodotti cinesi di accedere al mercato nordamericano. Ciò significa che nel resto del mondo, Europa inclusa, la pressione competitiva cinese è esplosa. Tutta la capacità produttiva cinese si scarica su una frazione dei consumatori su cui si scaricava prima e questo è un problema.

Il presidente cinese Xi Jinping (Ansa)

L’Europa potrebbe reagire imponendo a sua volta dazi per tutelare le proprie imprese almeno sul mercato domestico. Questo però significa fare esplodere i costi per le famiglie europee e probabilmente rinunciare, per una probabile reazione cinese, a interi comparti dell’economia tra cui, in particolare, quello legato alla transizione. Il mercato interno europeo ha inoltre subito gli effetti di tre decenni di mercantilismo.



Infine, l’Europa non ha i costi energetici o le risorse naturali americane e le sue catene di fornitura sono minacciate da quanto sta succedendo in Medio Oriente e potenzialmente, a nord nella nascente rotta artica, anche dal conflitto con la Russia. Contenere i costi per le famiglie e tutelare la produzione domestica, in conclusione, per l’Europa è complicato in un contesto di guerra commerciale diffusa.

Il Vecchio continente potrebbe guardare a ovest e al gas americano per le sue forniture, ma, a parte la questione del costo fuori mercato, si deve chiedere quanto convenga legare la propria sicurezza energetica all’America. L’Europa, che ha già rotto con la Russia, sembra avviarsi verso una rottura con la Cina e il Medio Oriente, che sarebbe l’ultima porta a est, è una polveriera.

Caliamo questo scenario nel settore del mobile italiano. I mobili che non arrivano più in Russia, rischiano di non arrivare più nemmeno in America e le esportazioni verso il Medio Oriente e l’Oceano indiano devono passare dal Canale di Suez. Nel frattempo tutta l’industria europea dipende dal gas americano.

L'”America first” di Trump non è uno slogan elettorale ma un programma politico che viene perseguito con metodo e che non guarda in faccia a nessuno: né ai giapponesi, né ai sudcoreani, né, tantomeno, agli europei. L’Europa avrebbe ogni interesse a recuperare margini di manovra spegnendo i conflitti in Medio Oriente, costruendo relazioni bilaterali con i Paesi vicini e recuperando ogni spazio di flessibilità energetica possibile. L’ultima cosa di cui avrebbe bisogno è rinunciare a qualsiasi potere negoziale verso Washington. Diversamente l’accordo commerciale di luglio rischia di avere una scadenza molto breve.

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