USA e UE presentano versioni diverse dell’intesa sui dazi: in realtà molto è ancora da scrivere. E’ un accordo quadro senza i contenuti: si tratta ancora
USA e UE presentano l’accordo sui dazi al 15% in modo diverso tra loro, con due versioni che sembrano contrastare in alcuni punti cruciali. Secondo gli europei, ad esempio, non è un patto giuridicamente vincolante, e poi rimangono sullo sfondo la questione dei servizi digitali (forniti da società americane) da tassare, delle armi. Sono da definire anche, osserva Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, i prodotti a dazio zero, sui quali non verranno imposte tariffe.
Questo perché in realtà siamo di fronte a un accordo quadro, in cui di chiaro c’è la cornice del 15%, ma che è ancora da riempire di contenuti. Ecco perché alla ratifica dell’accordo base seguirà una serie di trattative dalle quali anche per l’Italia potrebbero uscire notizie interessanti riguardanti i farmaci e la meccanica di precisione. Se così fosse, bisognerebbe rivedere certi giudizi sugli accordi annunciati in Scozia domenica. Nel frattempo, l’economia americana in questo trimestre ha fatto segnare un più 3%.
Tra USA e UE sembrano esserci delle divergenze sull’interpretazione di alcuni punti dell’accordo sui dazi. L’intesa è appena stata raggiunta e ci stanno già ripensando?
Credo di no. Nell’accordo è stato fissato il tetto massimo del 15%, ma c’è ancora molto da scrivere. È stato evitato il peggio: il commissario UE al Commercio Sefcovic ha dichiarato di aver avuto un mandato chiaro dalle aziende: evitare l’escalation. Il 15% è il male minore, sempre meglio del 30%. L’intesa, insomma, è da definire, da lì nascono le interpretazioni diverse. Ancora non sappiamo se è un accordo commerciale o un trattato internazionale, che prevederebbe l’unanimità e un passaggio nei singoli parlamenti.
L’Europa, però, dice che non è giuridicamente vincolante. Cosa significa? La realtà è che l’accordo vero non c’è ancora?
È un accordo quadro, una cornice, nel senso letterale del termine. Conosciamo il contorno: non si va oltre il 15%. Poi c’è tutta la partita sulle esenzioni. I farmaci sono compresi o esentati? E di quali medicine si parla? Stesso discorso per la meccanica di precisione, che è al primo posto del nostro export. Dicono che al Regno Unito è andata meglio, ma è anche vero che ha avuto quote di export a tassi zero che noi dobbiamo ancora definire.
Guardando alle due versioni dell’accordo, sembra che siano da chiarire i contorni dell’intesa per quanto riguarda i servizi digitali. L’Europa non ha rinunciato a usare la digital tax come arma negoziale?
Di fatto è improponibile e non solo perché scatenerebbe la guerra commerciale. In realtà, al momento non possiamo fare a meno dei servizi digitali americani, penso a Netflix, Amazon, al cloud di Microsoft. L’Europa, da questo punto di vista, non ha un’alternativa. Forse dovremmo sviluppare il mercato interno europeo, allora sì che saremmo una potenza economica e non un vaso di coccio tra due vasi di ferro, quello cinese e quello americano. Trump guarda soprattutto alla Cina, vuole impedire che noi facciamo affari con Pechino. Per lui questa è la vera partita da giocare.
C’è una scadenza per definire l’accordo?
L’accordo deve essere ratificato entro il primo agosto come memorandum che stabilisce il tetto del 15%, ma è un’intesa che va riempita di contenuti, con i singoli Paesi che chiederanno all’Unione Europea di spingere in un senso piuttosto che nell’altro. Si continuerà a trattare.
Qual è l’obiettivo da parte degli USA della politica dei dazi? Secondo alcune stime, Trump vorrebbe ricavarci 300 miliardi di dollari l’anno, per fare cosa?
Gli USA puntano a usare i dazi come strumento per finanziare l’aumento del deficit legato alla legge di bilancio, il Big Beautiful Bill, ottenendo 3.000 miliardi in dieci anni. Intanto, il PIL americano è cresciuto del 3% nel primo trimestre e l’inflazione, secondo il presidente della FED Powell, che notoriamente non è amico di Trump, sarà al 2,4% nel 2025, perfettamente sostenibile. I numeri, insomma, stanno dando ragione a Trump. Per non parlare di quelli della Borsa, che sta mettendo a segno un record dopo l’altro. Un aspetto a cui Trump è molto attento, non per niente certi annunci vengono fatti all’inizio del week end, a mercati chiusi.
Non è casuale, quindi, che l’incontro fra Trump e la Von der Leyen si sia tenuto domenica?
A questo punto no, c’è un trend che conferma la capacità di Trump di giocare con i mercati. Li fa muovere come vuole, sfruttando il fatto di essere l’uomo più potente del mondo. Il presidente USA sta utilizzando i dazi anche in chiave geopolitica, basta vedere quello che è successo con l’India, nei confronti della quale sono stati annunciati dazi al 25%. È un Paese alleato, tanto è vero che Trump ha un ottimo rapporto con il primo ministro Narendra Modi, però sono previste tariffe aggiuntive per le aziende che fanno affari con la Russia: se non è un dazio secondario poco ci manca.
(Paolo Rossetti)
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