Pochi giorni fa il Senato aveva bocciato a scrutinio segreto il disegno di legge Zan contro l’omofobia; dopo numerosi, ma inutili, tentativi da parte di una gran parte del centrodestra che avrebbe voluto modificarlo, soprattutto per quelle aree ambigue che si addensavano negli articoli 1-4-7. Punti in cui si dettavano definizioni prive di fondamento scientifico (articolo 1), si inseriva il reato di opinione (articolo 4) che limitava di molto la libertà di parola e di pensiero e si faceva della legge uno strumento demagogico di propaganda Lgbtq+.
Una legge che, vale la pena ripeterlo, sarebbe passata all’unanimità se ci si fosse limitati a respingere ogni forma di violenza e discriminazione nei confronti delle persone omo-transessuali. L’ostinazione ricattatoria dell’asse Pd-M5s ha decretato il flop della legge al momento del voto, ampiamente prevedibile se solo si fosse colto l’umore dell’Aula.
L’effetto paradosso scatenato dalla bocciatura della norma è stato quello di rigettare tutte le colpe sull’area di centrodestra, rea di aver applaudito alla sconfitta dei fautori della legge: una evidente vittoria del senso comune sull’ideologizzazione spinta. In realtà, si tratta di una vittoria, ampiamente voluta da una larga schiera di franchi tiratori del centrosinistra, perché sarebbe stata impossibile con i soli numeri del centrodestra. La questione sembrava chiusa e archiviata almeno per i successivi sei mesi.
Ma, a sorpresa, pochi giorni dopo, nel decreto-legge recante “Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale” è apparso un emendamento che ha tentato di far riapparire dalla finestra quanto respinto dalla porta. Si tratta dell’emendamento 1.294, approvato senza alcuna illustrazione e senza discussione; proposto da due colleghe, entrambe Pd, presidenti delle commissioni Ambiente e Trasporti della Camera, che prevede “il divieto di pubblicità che proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere, alle abilità fisiche e psichiche“.
Si tratta di un emendamento in base al quale potrà essere rimosso qualsiasi tipo di pubblicità che non sia conforme all’ideologia gender, evidentemente introdotta di soppiatto. Toccherà alla ministra della Famiglia e delle pari opportunità, Elena Bonetti, definire con un decreto tutti i dettagli.
E’ facile chiedersi se un cartellone pubblicitario con la foto di una bella donna possa essere considerato sessista; o se una donna che stira o è impegnata in compiti di cura e di accudimento sarà considerata come uno stereotipo di genere. Oppure se una pubblicità che raffiguri coppie uomo/donna sia da considerare come una discriminazione nei confronti delle persone Lgbt. Di fatto è già accaduto che alcuni sindaci, per lo più di sinistra, hanno vietato cartelloni e autocarri “vela” in cui si affermava che i bambini per nascere hanno bisogno di una madre e di un padre.
Ovviamente è scaturita una grande polemica sulle affissioni che appaiono e forse sono discriminatorie, la legge di fatto punisce qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto sia discriminatorio con riferimento anche all’identità di genere.
Da ieri, quindi, non sarà più possibile fare affissioni o camion vela critici nei confronti della teoria gender, dell’utero in affitto eccetera. Ma la cosa più grave questa volta è stata che sulla proposta di legge sia stata posta la fiducia, impedendo di dare il proprio voto a favore di alcuni aspetti della legge e non di altri. In perfetta contraddizione con quanto il 23 luglio scorso il Presidente della Repubblica aveva scritto in una lettera in merito alla decretazione d’urgenza, richiamando al principio dell’omogeneità del contenuto delle norme di un decreto-legge.
Nel decreto legge sulla sicurezza e gli investimenti nelle infrastrutture è stata introdotta una misura ideologica che limita, in modo ambiguo e per questo particolarmente pericoloso, la libertà di espressione.
Ovviamente la legge al Senato è passata, ma resta il vulnus di quella che, a tutti gli effetti, appare come una forma di abuso di autorità e di tradimento della volontà e delle intenzioni del Senato stesso.
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