“Il suicidio della rivoluzione” di Augusto Del Noce, scritto nel 1978, è più attuale che mai e aiuta oggi non meno di ieri a capire il nostro presente

Leggere oggi Il suicidio della rivoluzione di Augusto Del Noce (Rusconi, 1978) significa compiere un gesto trasgressivo o, almeno, controcorrente. Infatti non solo si tratta di un libro del secolo scorso, pubblicato alla fine degli anni 70, vale a dire gli anni che poi furono definiti “di piombo”, caratterizzati da “un’escalation di violenza politica, lotte armate e terrorismo”, ma anche di un classico, ormai, della filosofia politica che però non ha mai goduto di una diffusione per così dire popolare.



Del resto neanche il suo autore, filosofo cattolico tra i massimi esponenti della filosofia politica italiana, ha mai conosciuto una vasta popolarità nonostante il suo felice incontro con Comunione e liberazione, che sul finire della vita terrena lo portò a rivelarsi come un polemista di prim’ordine, del livello di un Chesterton o di un Péguy, per intenderci.



In questo volume si possono trovare concentrate le questioni storico-politiche decisive che interessarono il pensatore e che trovano il loro fuoco nella Rivoluzione – detta al singolare e con la maiuscola –, e quindi nel massimo pensatore e punto di approdo coerente del pensiero rivoluzionario: Karl Marx. Del Noce indaga non solo la genesi e la struttura del pensiero marxiano ma anche gli esiti della sua realizzazione pratica, la rivoluzione sovietica, che a suo avviso conducono alla manifestazione storica delle sue contraddizioni interne e, infine, a una dissoluzione non determinata dall’esterno che, nel linguaggio delnociano, diventa suicidio della rivoluzione.



Esito che non lascia immutate le posizioni filosofico-politiche dalla cultura mondiale ma si rivela determinante, ad esempio, per la nascita e lo sviluppo di movimenti politici come il fascismo e il nazismo.

Leggere oggi questo classico poco noto a un vasto pubblico significa confrontarsi con un pensiero che non arretra di fronte ai sommovimenti più radicali che caratterizzano il nostro tempo, ma cerca di indagarne la genesi senza mai separare la fede dalla ragione, vale a dire da un punto di vista letteralmente cattolico, cioè universale.

L’indagine si snoda sorprendentemente a partire dall’opera anch’essa poco nota di un poeta e filosofo, Giacomo Ca’ Zorzi, che scelse come pseudonimo Giacomo Noventa, dal suo paese natale. In Noventa Del Noce trova una formulazione inedita riguardante il fascismo, che da parte della cultura antifascista nella sua generalità venne inteso come “errore contro la cultura”, mentre per Noventa si trattava piuttosto di un errore della cultura al tempo dominante e che trovava la sua massima espressione in Giovanni Gentile e Benedetto Croce, protagonisti di quella che venne anche definita come la “dittatura filosofica” (neoidealismo o filosofia dello spirito) che caratterizzava al tempo la cultura italiana.

Ciò che colpisce Del Noce è il fatto che questo punto di partenza porti Noventa a definire la propria interpretazione della storia italiana del 900 come “diversissima da ogni altra”. Già da questo esordio si capisce la difficoltà obiettiva di questa lettura: a parte la scarsissima familiarità con l’opera di Noventa, non si può dire che Gentile e Croce, noti a molti almeno per il nome, siano sufficientemente conosciuti, a causa di un oblio che nel secondo dopoguerra colpì la cultura del primo novecento nel suo insieme: non solo ovviamente la filosofia gentiliana ma pure quella crociana, anche se Benedetto Croce era stato l’autore di un Manifesto degli intellettuali non fascisti apparso nel 1925 in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti pubblicato da Gentile nell’aprile dello stesso anno.

9 novembre 1989, a Berlino cade il Muro che divide Est e Ovest (Ansa)

In un tempo che vede la maggior parte della gioventù mondiale diventata antifa – come scrivono sulle magliette – confermata in questo dal “catechismo” di Umberto Eco intitolato appunto Il fascismo eterno (La casa di Teseo, 2018), che svolge in 14 punti la tesi in base alla quale il fascismo non è più (soltanto) un fenomeno politico ma la manifestazione di una essenza, chi avesse voglia di indagare in modo razionale, troverebbe nel saggio delnociano un manuale di sopravvivenza.

Al centro del Suicidio della rivoluzione infatti si trova Il problema della definizione storica del fascismo, dove l’autore giudica urgente il passaggio da un’interpretazione polemica a una interpretazione storica del fenomeno.

Il motivo principale lasciamolo enunciare al filosofo stesso: “Non si può lasciare alcun ‘vuoto’ nella storia senza sentirsi sradicati dalla storia intera; che altro sono se non i soggetti passivi di questo ‘vuoto’, che altro esprimono se non questo sradicamento, i ribelli dell’ultimo ventennio, i contestatori di qualsiasi specie?”.

Del Noce allude qui ai protagonisti dell’ultima Rivoluzione, quella del 1968, detta inizialmente Contestazione. Il vuoto di cui si tratta è determinato in Italia, secondo il Nostro, dalla mancata comprensione storica del fascismo a motivo dell’interpretazione polemica dettata dall’egemonia culturale dell’antifascismo nel secondo dopoguerra, mancanza generata dal comun denominatore immanentista che ingloba il fascismo come l’antifascismo.

Si tratterebbe piuttosto di rifarsi al vertice della cultura italiana dell’epoca e specificamente a La filosofia di Marx di Giovanni Gentile (1899), che ha il merito riconosciuto da Lenin di essere una delle prime indagini che considerano Marx non solo come politico o economista, ma come filosofo. Da questa lettura critica Gentile ricava il giudizio che in Marx convivano una scoperta rivoluzionaria, la prassi o azione umana trasformatrice del mondo, con incrostazioni di materialismo naturalistico da superare.

Si prospetta così la possibilità di un oltrepassamento-inveramento del marxismo in una forma adeguata alla cultura europea. Qui si configura la novità apparentemente inaccettabile del pensiero delnociano: Gramsci, il pensatore che ritiene di riformare il marxismo andando oltre Lenin, che accentua il primato di quel che Marx chiamava “sovrastruttura” (cultura, arte, filosofia, religione etc.) rispetto alla “struttura” (i rapporti economici), sarebbe mosso più dal pensiero di Gentile che da quello marxiano. Anzi, svilupperebbe la possibilità alternativa nello svolgimento della filosofia gentiliana.

Saremmo di fronte, in sintesi, a quella che è stata chiamata “rivoluzione culturale”. Ma il prezzo pagato dal pensatore sardo è la sostituzione della lotta al capitalismo con l’antifascismo, all’insegna di una modernizzazione che rifiuta qualsiasi complicità col passato in vista di un immanentismo radicale. Vale a dire che cultura fascista e antifascista funzionerebbero come fratelli nemici, in un processo di dissoluzione.

Se di questo si cerca una prova basta il telegiornale che, da quando esiste un governo di destra, ci propina quotidianamente un ping-pong su fascismo-antifascismo che si ripete e riverbera in tutti i salotti televisivi in tutte le varianti possibili salvo una: quella di una comprensione storica del problema invocata dal profetico Del Noce come unica condizione possibile di una nuova politica. Si conferma così la celebre battuta di Flaiano – o di Maccari – secondo la quale i fascisti si dividono in fascisti e antifascisti.

Se se ne cerca una prova basta il telegiornale che, dal secolo scorso, indipendentemente dai governi in carica, ci propina quotidianamente un tormentone su fascismo-antifascismo che continua a ripetersi e riverberarsi in tutti i salotti televisivi e in tutte le varianti possibili salvo una: quella di una comprensione storica del problema invocata dal profetico Del Noce come unica condizione possibile di una nuova politica (ricordiamo cosa accadde quando lo storico De Felice si permise di dire che dopo mezzo secolo senza fascismo si poteva anche togliere la pregiudiziale antifascista dalla Costituzione: bombette sul balcone di casa e polizia per consentirgli di fare lezione). Si conferma così la celebre battuta di Flaiano – o di Maccari – secondo la quale i fascisti si dividono in fascisti e antifascisti.

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