Delitto di via Poma, cos'è successo e su cosa si concentrerà nuova inchiesta sull'omicidio Simonetta Cesaroni dopo errori e depistaggi degli scorsi decenni
Il delitto di via Poma è un caso irrisolto, ma non è detto che debba restare tale, anche se sono passati oltre tre decenni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni. Sul caso, al centro della nuova puntata di Storie di Sera su Rai 1, c’è una nuova indagine, sollecitata dal gip con un’ordinanza che chiede di colmare quelle lacune lasciate dalle indagini degli anni passati, caratterizzate da errori a cascata che hanno ostacolato la ricerca della verità e, di conseguenza, che la famiglia potesse ottenere giustizia.
Sono trascorsi ormai 35 anni da quel 7 agosto del 1990 in cui un’impiegata di vent’anni, Simonetta Cesaroni, venne uccisa con 29 coltellate in un ufficio della Roma Bene, diventato luogo di misteri. Era la sede del Comitato Lazio dell’Associazione Alberghi della Gioventù: la 20enne vi si recava due volte a settimana per inserire fatture al computer. Un incarico ricevuto dallo studio di ragioneria dove era impiegata.
Non vedendola rientrare a casa, la famiglia si preoccupò e lancio l’allarme. Una delle tante stranezze di questa vicenda è che sulle prime Salvatore Volponi, datore di lavoro della vittima, negò di conoscere l’indirizzo dell’ufficio dove la ragazza lavorava, facendo sì che il delitto venisse scoperto solo a tarda sera, ma neppure sull’arma del delitto ci sono certezze. Non è noto neppure il movente.
LA MESSINSCENA NELL’UFFICIO DI VIA POMA
Nonostante la stanza dove fu trovato il cadavere venne trovata apparentemente in ordine, la scena del crimine sembrava artefatta, perché Simonetta Cesaroni era stata accoltellata 29 volte e venne ritrovata nuda, indossando solo calzini, ma non c’erano schizzi di sangue né sulle pareti né suoi mobili.
L’autopsia non rilevò segni di violenza sessuale. Tra gli elementi insoliti anche le scarpe sistemate in un angolo, l’assenza dei vestiti, l’arma del delitto sparita, la pulizia della stanza, nonostante la vittima avesse perso tre litri di sangue. Eppure, venne ricostruito che l’omicidio era stato feroce e compulsivo.
DELITTO DI VIA POMA, LE ALTRE STRANEZZE
“La responsabilità più grande ce l’hanno certamente gli inquirenti dell’epoca, cioè i primi che si sono occupati del delitto, perché si sono innamorati di una pista e hanno abbandonato tutte le altre“, ha dichiarato il giornalista e scrittore Igor Patruno, che si è a lungo occupato del caso, ai microfoni di Speciale Tg1.
La pista battuta inizialmente sul delitto di via Poma fu quella del portiere Pietrino Vanacore, poi a finire sotto i riflettori degli inquirenti fu Federico Valle, nipote di chi i palazzi di Via Poma li aveva progettati e realizzati, ma venne poi scagionato da un esame del Dna. Ma per tre lunghi gradi di giudizio rimase incastrato Raniero Busco, che all’epoca del delitto di via Poma era fidanzato di Simonetta Cesaroni. Condannato in primo grado, fu poi assolto, in via definitiva.
Un altro esperto del caso è Emilio Radice: il cronista arrivò sul luogo del delitto poche ore dopo la scoperta del cadavere di Simonetta Cesaroni, riscontrando diverse stranezze. Ad esempio, non vi trovò nessuno, nonostante il delitto fosse avvenuto la sera prima.
Comunque, al suo arrivò notò una persona, di cui non ha fatto pubblicamente il nome a Speciale Tg1, che aveva una macchia di sangue sulla lente degli occhiali, quindi si recò in questura: “Le risposte furono molto poco ortodosse“. Gli avrebbero detto che lì c’era gente per bene e che dovevano occuparsi loro delle indagini sul delitto di via Poma.
LA PISTA DEI POTERI FORTI E DEI SERVIZI SEGRETI
Nell’ordinanza che ha riaperto il delitto di via Poma si fa riferimento al possibile coinvolgimento dei poteri forti e dell’intelligence, anche perché lì vi erano appartamenti riconducibili ai servizi segreti. Ad esempio, il proprietario dell’ufficio del delitto di via Poma era legato al Sisde.
“Quello era un territorio e un’epoca in cui i poteri forti senz’altro hanno avuto un’influenza rispetto all’omicidio della povera Simonetta. Da lì a poco sarebbe scoppiata Tangentopoli, per cui c’era una connivenza tra professionisti, politica, imprenditoria, istituzioni e in quello ostello ahimè vi erano professionisti, imprenditoria e istituzioni. Quindi, anche questa traccia si dovrà senz’altro approfondire“, ha dichiarato l’avvocato Federica Mondani, legale della famiglia di Simonetta Cesaroni. Infatti, la gip sospetta che documenti riservati presenti negli uffici abbiano rappresentato un motivo per ostacolare le indagini.
