Una delle immagini classiche della crisi del ’29 è quella dell’uomo che si getta dalla finestra per la disperazione. Siamo arrivati anche a questo. Lo scorso weekend Anjool Malde, 25enne prodigio della City, stock-broker alla Deutsche Bank e organizzatore di eventi mondani, si è lanciato dall’ottavo piano di un grattacielo: era in un ristorante alla moda con un gruppo di amici, indossava volutamente il suo abito migliore e – ad un certo punto, con un flute di champagne in mano – si è lanciato nel vuoto. Temeva di perdere il suo lavoro, «il sogno divenuto realtà» come diceva parlando della sua vita.
Un’esagerazione, ovviamente. Una mente forse troppo fragile per reggere l’impatto di una vita di colpo senza più lussi e agi ma tant’è, siamo arrivati anche a questo. Non è il primo, forse non sarà l’ultimo. Ma al di là delle iperboli, c’è qualcosa di cui aver davvero paura e che nessuno al G8 ha avuto il coraggio di denunciare: la continua crescita della richiesta di euro fuori dall’eurozona.
L’altro giorno, nel silenzio generale, la Bce ha avvertito che questo aumento senza precedenti della domanda di banconote può tramutarsi in una trappola per l’Ue, visto che a far data allo scorso 31 dicembre ben 95,4 miliardi di banconote euro erano in circolazione al di fuori dei confini dei sedici paesi che lo adottano ufficialmente, una cifra che fa paura se paragonata ai 71,1 miliardi del 31 dicembre 2007: il 20% del totale delle banconote euro circola fuori dall’eurozona. Dove? In Montenegro tutti i depositi sono in euro, mentre la metà dei prestiti in Croazia, Lettonia, Lituania e Bulgaria sono indicizzati nella nostra moneta.
Insomma, i paesi a più alto rischio di default sul debito entro la fine di quest’anno detengono riserve spaventose di euro: si chiama “eurizzazione” in gergo finanziario e potrebbe creare danni macro-economici devastanti se la situazione andrà, come molto probabile, fuori controllo. I problemi di solvibilità delle banche, infatti, sono clamorosi e salvo miracoli – leggi l’ennesimo intervento di Fmi e Banca Mondiale – assisteremo a un effetto domino capace di mandare a gambe all’aria più di un’economia continentale.
Le cosiddette debt securities indicizzate in euro sono salite al 32,2% mentre le riserve bancarie sono a quota 26,5 da 25,3: insomma, la Bce fa bene a lanciare l’allarme. Peccato che nessuno lo ascolti (e che, tra l’altro, questo giunga un po’ tardivo). Ma a dover fare davvero paura è un’altra realtà, ovvero il dedalo di società direttamente controllate da Lehman Brothers prima del collasso che ora sono in stato di amministrazione controllata: sono 20 negli Usa, uno alle Cayman e una alle Bermuda, 3 in Lussemburgo, 3 in Francia, 17 nel Regno Unito, 2 in Germania, 1 in Olanda, 1 in Svizzera, 1 in Cina, 7 nelle Filippine, 8 ad Hong Kong, 9 a Singapore, ben 11 in Australia, 4 in Giappone e 3 in Sud Corea: pronte, una dopo l’altra a scaricare i propri collaterali sul debito sulle entità esposte. Tra cui, purtroppo, la Bce.
Mediamente ci sono cinque amministratori per ognuna di queste società, ma se uno solo non trova liquidità sufficiente per finanziare gli assets in possesso, il carico passa direttamente sugli altri quattro amministratori: se ne saltano due o tre ancora peggio. La Bce, di fatto, sta seduta su una bomba ad orologeria. E noi con lei.
Settembre sarà in banco di prova, il mese in cui le speranze degli ottimisti ad oltranza finiranno miseramente schiacciate dalla realtà dei fatti: l’Europa continua a vivere su una montagna di debiti che non sa dove scaricare e anche quelle entità che sembravano defunte insieme ai loro guai, ora tornano fuori dall’armadio della storia recente per presentare il conto.
Forse, vista con gli occhi attuali, la decisione Usa di far fallire Lehman Brothers per salvare Aig e quindi la controparte di quasi tutti i contratti in essere tra Usa e Ue è stata sbagliata: Lehman, infatti, non era solo una banca d’affari ma una vera e propria ragnatela di cui nessuno conosceva la grandezza e la pericolosità.
Qualcosa sta per scoppiare, l’indice Vix non è più una indicatore credibile: occorre controllare bene e sperare che, come purtroppo sembra, non sia risuonato il segnale tecnico dell’Hindemburg Omen. Altrimenti, come sempre accaduto nella storia, fra tre mesi sarà veramente l’apocalisse. Prima della ripartenza, per chi sarà sopravvissuto.