Le Borse europee hanno appena festeggiato un rally settimanale salutato da molti come una sorta di punto di svolta della crisi: speriamo, ma le altalene della Borsa non depongono mai a favore di una corretta valutazione dei fatti. Rally anche per la Borsa italiana che mercoledì ha salutato l’exploit di Ansaldo Sts, azienda del gruppo Finmeccanica capace di mettere a segno uno strepitoso +5,5 per cento.
Il perché è presto detto: ha vinto una commessa in Libia per un valore totale di 541 milioni di euro. Il contratto prevede la realizzazione dei sistemi di segnalamento, telecomunicazioni e alimentazione relativi alla linea costiera Ras Ajdir-Sirt e a quella verso l’interno Al-Hisha-Sabha, per un totale di circa 1.450 chilometri.
Con questo contratto Finmeccanica diventa il principale partner delle Ferrovie Libiche (Libyan Railroads) nella realizzazione della nuova rete ferroviaria nazionale. Per carità, Gheddafi non è simpaticissimo e a molti hanno dato fastidio le scene poco edificanti vissute durante la sua ultima visita a Roma, ma alla fine gli affari si fanno anche con i satrapi.
Detto questo non è che ora l’economia italiana sia salva, nonostante Silvio Berlusconi abbia espresso ottimismo rispetto alla fine della crisi, per una volta confortato da un giudizio simile espresso anche dalla Banca d’Italia. Non la pensa così il Consiglio Nazionale Economia e Lavoro che in un comunicato rendeva noto che la disoccupazione nel nostro paese toccherà il 9% a fine anno.
Sta peggio di noi la Gran Bretagna, visto che uno studio del think tank National Institute of Economic and Social Research ha reso noto che potrebbero volerci altri cinque anni perché l’economia del Regno Unito torni ai livelli precedenti alla recessione del 2008, mentre la disoccupazione viaggia spedita verso il 9,3%. In Spagna è molto peggio e la Francia rischia di pagare il prezzo della crisi in termini di disordini sociali e scioperi selvaggi che i potenti sindacati hanno già minacciato se non passerà la manovra di mega-stimolo da 80 miliardi di euro travestita dal duo Sarkozy-Lagarde da investimento, ovvero un’emissione di bond da record.
Ma è un’altra la notizia che questa settimana dovrebbe preoccuparci e non poco: l’avvio dei negoziati da parte dell’Islanda per entrare nell’Ue. Quel paese, come tutti, sanno è in default tecnico e la sue banche sono totalmente nazionalizzate, con asset congelati dopo che per anni aveva agito come veri e propri hedge funds accumulando liabilities nei bilanci pari a 11 volte il Pil nazionale.
Ora Reykjavik cerca vendetta, anche perché le condizioni capestro poste dalla Gran Bretagna sotto forma di sanzioni stanno scatenando proteste sempre più dure. Gran Bretagna e Olanda sono infatti le nazioni più esposte verso il crack islandese e i prestiti accordati per il piano di rientro denominato IceSave sono al 5,5%, senza contare che Londra ha imposto l’utilizzo della legislazione anti-terrorismo sul riciclaggio per congelare qualsiasi asset islandese.
Insomma, un prezzo molto alto per un paese di fatto in bancarotta e totalmente dipendente da Ue e Fondo Monetario Internazionale. Sconfitti ma non vinti del tutto, perché a Reykjavik stanno preparando, oltre alle carte per entrare nell’Ue, anche un dossier che documenta come Gran Bretagna e Olanda siano state parti attive nel crollo delle banche del paese: quindi, come dice il nuovo ministro delle Finanze, Steingrimur Sigfusson, «il tango si balla in due». Allora, prepariamoci a dover pagare il conto per quell’economia nel quadro comunitario, certamente non roseo di per sé.
È incredibile come questi argomenti, fondamentali per il futuro dell’Unione, vengano ignorati non solo dalla grande stampa ma dagli stessi politici, troppo impegnati in maneggi di potere per guadagnarsi posizioni dominanti. E, attenzione, un presidente dell’Europarlamento polacco potrebbe rappresentare una vera disgrazia quando in autunno arriveranno al pettine i nodi dell’esposizione bancaria ad Est: Germania e Austria, forti dell’appoggio fornito a Varsavia contro il candidato italiano, cercheranno di battere cassa e ottenere il massimo delle garanzie nello schema di protezione e copertura che l’Ecofin, su stimolo del Fmi, sarà costretta a varare (altrimenti l’Austria rischia dritta dritta di fare la fine dell’Islanda).
Un altro cliente al tavolo della spartizione, seppur piccolo come l’Islanda, potrebbe rappresentare un guaio: non a caso, dal nulla, la Gran Bretagna ha già formalizzato la candidatura di Tony Blair come presidente dell’Unione. Le pedine della grande partita a scacchi stanno per essere allineate definitivamente. Mosse e contromosse. Sia per ottenere una commessa in Libia che per salvarsi dai guai in arrivo, economia e politica non sono mai andate a braccetto come ultimamente. Sul fatto che questo sia però un bene assoluto, ho le mie riserve: il mercato va regolato, non eterodiretto. Altrimenti si fanno più danni del turbocapitalismo stesso e vinceranno sempre e soltanto i più forti.