Al netto delle correzioni come quella occorsa venerdì scorso per il deludente dato occupazionale nei settori non agricoli dell’economia Usa, la Borsa americana è sui massimi di sempre, una vera e propria macchina da soldi alimentata dal denaro facile che la Fed continua a pompare nel sistema senza sosta. Ma al di là dell’artificialità di questo rally, dovuto in tutto e per tutto al doping della banca centrale, c’è un altro dato che deve farci riflettere: la natura stessa della Borsa americana. La gran parte del trading, infatti, sta migrando da piattaforme regolamentate come la New York Stock Exchange verso piattaforme private, incluse le dark pools, che agiscono nell’ombra, lontano dagli sguardi della pubblica opinione.
Questo sta permettendo ai grandi investitori di agire sui mercati nascondendo le loro mosse, con il rischio palese – per alcuni – di oscurare o falsare il processo di prezzatura dei titoli e allontanare del tutto gli investitori retail. Certo, quello che sta accadendo non è novità di oggi, ma ultimamente il processo è cresciuto in forza e velocità. La porzione di trading operato al di fuori delle piattaforme regolamentate, infatti, ha toccato un nuovo massimo proprio nelle scorse settimane, durante il rally del Dow Jones, raggiungendo il 40% del totale: nel 2008 era il 16%, stando a dati della Rosenblatt Securities. Insomma, qualcosa che preoccupa e non poco ad esempio Thomas Gira, responsabile per la regolamentazione dei mercati della Financial Industry Regulatory Authority ma non la Sec, l’ente che regola i mercati negli Usa: a marzo, infatti, l’Australia ha introdotto nuove e stringenti regole per limitare il trading off-exchange, sull’esempio di quanto fatto lo scorso autunno in Canada, mentre negli Usa tutto tace. Perché? Si ama l’opacità? O esistono limiti oggettivi nelle piattaforme regolamentate che portano gli investitori a optare per la segretezza delle dark pools? Vediamo.
Prima di tutto, le dark pools, esattamente come le Borse diciamo “pubbliche”, danno la possibilità agli investitori di connettersi con venditori e acquirenti di titoli, ma sono soggette a regolamentazioni meno stringenti. Spesso e volentieri di proprietà di grandi banche, le dark pools permettono a venditori e compratori di non annunciare le loro intenzioni di fare trading su titoli, permettendo a traders e investitori di nascondersi dietro un velo che soltanto l’operatore della piattaforma può penetrare. Insomma, si evita il tipping off, ovvero il permettere a un competitore di conoscere le nostre intenzioni, situazione che può portare all’aumento del prezzo del titolo che intendiamo acquistare: ecco, ad esempio, un motivo per cui le dark pools sono diventate attrattive anche per soggetti istituzionali come i fondi pensione. Inoltre, gli investitori si starebbero muovendo verso l’off-exchange per la sempre crescente sfiducia verso le piazze regolamentate, sempre più soggette a disguidi tecnologici – i cosiddetti flash crash – e ormai in balia del trading ad alta frequenza, vero cancro del mercato.
Terzo motivo di attrattività è il sempre costante declino delle volatilità nei prezzi dei titoli. Ovvero, quando c’è volatilità, cioè rialzi e ribassi molto netti, l’investitore vuole che il proprio ordine sia immesso velocemente e quindi punta alla sicurezza di una Borsa regolamentata. In un ambiente di trading più calmo, ovvero con bassa volatilità, l’anonimato garantito da una dark pool è più attraente, oltretutto con costi di gestione minori rispetto a una piattaforma regolamentata. Ma a mettere in discussione le Borse tradizionali c’è anche altro, ovvero il sempre maggior utilizzo da parte di soggetti come Citigroup e Knight Capital di brokers retail come TD Ameritrade o Scottrade al fine di fare trading con ordinari investitori retail prima che gli ordini arrivino a una piattaforma di scambio regolamentata, un fenomeno che prende il nome di internalizzazione.
Nei fatti un esempio di trading off-exchange che sta crescendo molto, soprattutto alla luce del rinnovato interesse per il mercato azionario tra investitori non professionisti, spinti dai continui rialzi degli indici garantiti da zio Ben e della Fed. Nelle scorse settimane di rally, l’internalizzazione ha pesato per il 60% del trading off-exchange, contro il 40% delle dark pools. Le quali, però, non temono affatto la concorrenza, né tantomeno l’intervento dei regolatori. Dan Mathisson, deus ex machina di una delle dark pool più importanti, CrossFinder di Credit Suisse, lo dice chiaramente: «Gli americani non se la sentono di intervenire nel nostro settore, perché hanno paura. Non tanto per quanto potrebbero scoprire, ma per il fatto che dovrebbero constatare come nelle dark pools non si riscontrino i problemi tecnologici che hanno davvero spaventato e allontanato gli investitori». Non la pensano così in Canada, dove lo scorso autunno sono state introdotte regole molto nette, prima delle quali il fatto che il trading può avvenire nelle dark pools soltanto se il broker garantisce in questo modo al cliente un prezzo decisamente migliore di quello a disposizione in piattaforme regolamentate e pubbliche. In pochi mesi, conferma la Rosenblatt Securities, il trading nelle dark pools in Canada è calato di un terzo.
Mi chiedo però: in questo modo, lo Stato canadese non ha palesemente violato il mercato ex lege? Certo, le dark pools portano con sé lo stigma della negazione del processo di asta pubblica, ovvero la prezzatura del titolo attraverso il suo trading e il confronto tra le offerte e le domande che si accavallano. Nelle transazione off-exchange, infatti, nessuno – se non l’operatore che sovrintende la piattaforma – vede cosa i trader hanno a disposizione, quindi nessuno tendenzialmente è portato a offrire un prezzo migliore di un titolo. Insomma, non è la questione del trading al buio o gestito da privati a non piacere, ma il fatto che quanti più investitori escono dal trading tradizionale, quanta meno competizione si crea, a tutto danno del prezzo dei titoli. Non è che a far paura, quindi, è il fatto che nelle Borse tradizionali si possono gonfiare artificialmente i prezzi, il cosiddetto “pump&dump”, soprattutto in momenti di denaro a pioggia e a costo zero? Non è, quindi, che da preservare non sia la competizione ma la manipolazione?
Un sospetto che appare plausibile, ancorché stupido se ci si basa sui volumi: ovvero che, essendo sia le dark pools che gli internalizzati gestiti da banche, queste possano usufruire di informazioni sensibili riguardo gli investimenti in atto da girare a propri traders e clienti selezionati. Siamo, però, nel campo della buona fede, non del regolatorio in senso stretto. La Finra, l’ente che sovrintende il settore, lo scorso settembre ha posto sotto osservazione l’attività delle 15 principali dark pools, cercando proprio di trovare conferma a questi sospetti. Risultato? Questo comunicato: «Abbiamo notato alcune attività problematiche quando abbiamo preso in esame il trading nelle dark pools».
Quindi? Cosa vuol dire? Niente. Certo, i regolatori si fanno forti del sondaggio condotto lo scorso anno dal Tabb Group, in base al quale il 67% di investitori a lungo termine segnala “problemi di fiducia” verso le dark pools. Le quali, però, sono un’alternativa al trading exchange, non un obbligo. Forse un problema di competitività esiste ma al contrario. Lo conferma Kevin Cronin, top trader di Invesco, a detta del quale ormai nessun operatore può permettersi di non visionare con attenzione cosa accade nelle dark pools prima di fare trading, tanto che il mese scorso proprio Invesco ha assunto un esperto in trading tecnologico da Credit Suisse. Per Cronin, «non parliamo di un mercato efficiente quando una larga parte di ordini non vede mai la luce del giorno». E quando invece si pompano i prezzi artificialmente con i soldi della Fed, alla luce del giorno, stiamo parlando di un mercato efficiente? Il Dow Jones a questi livelli, stante i dati e la realtà macro Usa, rispecchia un mercato efficiente? Non è che il timore vero è quello che la gente si sposta nelle dark pools perché lì c’è una vera prezzatura di fair value, mentre nelle Borse regolamentate si gioca a chi pompa di più, sperando che la correzione – già in atto nei corsi delle dark pools – arrivi il più tardi possibile? Pensateci.