Giungono sempre più conferme al fatto che la prossima tessera per comporre il mosaico della crisi europea sarà la Spagna. L’analisi di MAURO BOTTARELLI sul Paese iberico
Giungono sempre più conferme al fatto che la prossima tessera per comporre il mosaico della crisi europea sarà la Spagna. L’ultima è di quelle che assumono le sembianze della sentenza, visto che arriva da Goldman Sachs, a detta della quale il prezzo degli immobili in Spagna dovrà scendere di un altro 10%, ponendo rinnovati – e forse ultimativi – problemi per il già traballante settore bancario. Più o meno una condanna a morte, visto che i prezzi delle case nel Paese sono già crollati del 30% dai massimi pre-crisi ma sono ancora sopravvalutati, almeno stando alla banca d’affari, secondo cui è fondamentale ormai una nuova ristrutturazione degli istituti iberici. E con il Paese costretto a negoziare un accordo con Fmi e Commissione europea per ottenere altri due anni di tempo per portare il deficit sotto il 3%, un ulteriore 10% di calo dei prezzi degli immobili potrebbe innescare un nuovo shock per il sistema bancario, già tenuto artificialmente in vita con un salvataggio Ue da 41 miliardi di euro. Tanto più che mezzo milione di proprietari di casa in Spagna sono in equity negativa e il governo ha dovuto promulgare con urgenza una legge per evitare i pignoramenti, visto il numero sempre crescente di famiglie buttate letteralmente per strada e la montante rabbia sociale.
Ma a Goldman sono convinti che il peggio non sia passato: «Il nostro modello di riferimento per la valutazione degli immobili si basa sulla relazione tra i rendimenti da locazione e i costi reali di finanziamento. Al livello attuale, riteniamo necessario un calo dei prezzi delle case di un altro 10% per raggiungere un equilibrio implicito». Inoltre, per Goldman, l’atteggiamento delle banche spagnole è controproducente e sta di fatto ponendo un serio freno a qualsiasi ipotesi di ripresa: «Si fornisce troppo credito a settori disfunzionali con basse prospettive di crescita come le costruzioni e troppo poco nuovo credito netto a settori più vivaci come l’imprenditoria e i settori legati all’export. Riteniamo che sia importante porre un freno al credito verso business non fruttuosi e creare invece nuovo credito verso settori con migliori prospettive di crescita».
Per Goldman, l’intervento della Bce ha prevenuto un deleveraging disordinato da parte delle banche che avrebbe creato ancora più danni all’economia reale, ma bisogna ritirare il credito verso i cattivi debitori e aprirne di nuovo verso soggetti che siano driver della crescita: il tutto, in un contesto generale di crollo del credito stesso. Per Goldman, «l’economia spagnola ha ancora bisogno di una significativa ristrutturazione e le banche hanno un ruolo chiave in questo processo, peccato che la politica non stia agendo in tal senso».
E a conferma di questo sono giunti martedì dati allarmanti dall’Istituto di statistica, il quale ha certificato che nei primi tre mesi di quest’anno il Paese è caduto in una recessione anche più profonda, giungendo al settimo trimestre di contrazione economica di fila. Unica nota positiva, una riduzione del deficit commerciale dovuto all’aumento dell’export e alla diminuzione delle importazioni, magra consolazione quando hai a che fare con il 27,2% di disoccupazione e il Pil, da gennaio a fine marzo, si è contratto dello 0,5% rispetto all’ultimo trimestre del 2012 a causa del crollo della domanda interna. Una situazione che non ha fatto perdere il senso dell’umorismo al ministro dell’Economia, Luis de Guindos, a detta del quale «tutti gli indicatori ci dicono che la Spagna sta puntando verso la ripresa». Ma, come anticipato, gli unici indicatori positivi sono l’aumento del 4,4% dell’export in febbraio e il -8,2% dell’import, capaci di portare il deficit commerciale a 1,3 miliardi di euro, meno di un quarto di quanto registrato un anno fa. Punto.
Peccato che l’export sia l’unico punto di forza della Spagna già dal 2008 e da solo non sia stato in grado di fare altro che evitare, per ora, la ristrutturazione del debito, onde evitare il default. Non a caso, venerdì scorso il governo Rajoy ha tagliato nettamente le previsioni economiche per l’anno in corso, forse a Luis de Guindos non lo hanno detto, come nessuno deve avergli fatto notare che, prendendo il dato annualizzato, l’economia spagnola nel primo trimestre di quest’anno si è contratta del 2%, peggio dell’1,9% degli ultimi tre mesi del 2012. Ma i numeri, a volte, non dicono la verità. Almeno non tutta, semplicemente perché i numeri si possono truccare o nascondere, come da troppo tempo si sta facendo. Soprattutto in Spagna e con la diretta corresponsabilità della Bce, la stessa che ieri ha preso l’inutile decisione di abbassare di 25 punti base il tasso di rifinanziamento, come se così facendo le banche – le stesse che con tassi mai così bassi non erogano credito nemmeno per sbaglio – di colpo aprissero i rubinetti.
La Spagna, infatti, non sta male come i numeri dicono, sta molto peggio, soltanto che la contabilità creativa dell’eurozona le permette di nascondere e non iscrivere a bilancio voci che renderebbero la sua ratio debito/Pil già oggi necessitante di una ristrutturazione. Cosa succede, infatti, là fuori? Succede che le banche spagnole continuano a chiedere in prestito denaro alla Bce a fronte di collaterale, prestiti commerciali o soprattutto mutui legati al ramo immobiliare di cui abbiamo parlato poco fa, che continua a perdere inesorabilmente di valore, rasentando il livello spazzatura. E siccome la Bce accetta tutto come garanzia ma ogni tanto si ricorda di dover fare la banca centrale, ecco che quella spazzatura imbellettata necessita della garanzia statale per essere eligibile come collaterale: peccato che quella che andrebbe contabilizzata come una liability contingente nel bilancio statale, vedi la ratio debito/Pil, viene bellamente ignorata, nascosta, dimenticata. Solo che più il tempo passa e la situazione peggiore, vedi il mercato immobiliare spagnolo, più la Bce è costretta a chiedere più collaterale a garanzia dei prestiti, tanto per non dover pagare il conto di una margin call: la banca non può ovviamente permettersi di postare collaterale eligibile, non avendone, quindi la Spagna deve aumentare le garanzie su sempre nuovi prestiti o addirittura pagare per coprire quella margin call, utilizzando la propria Banca centrale in una versione invertita del programma Ela.
Avanti di questo passo, però, la Spagna rischia di vedere le proprie casse entrare in sofferenza e il dato del deficit del 10,6% recentemente annunciato, si tramuterà per i mercati in una bufala colossale: ecco quindi partire l’attacco sul debito sovrano ed ecco che la Spagna sarà costretta a chiedere denaro al programma Esm, vista l’insostenibilità delle garanzie sovrane per le proprie banche, le quali oltre al danno inflitto dal mercato immobiliare, in caso di sell-off sconterebbero anche la perdita netta di valore dei miliardi di debito sovrano che hanno in pancia. Oplà, senza che nessuno se ne accorga, se non chi opera sui mercati che non aspetta altro per fare soldi facili, la troika sta già bussando alla porta di casa. È questione di settimane. Draghi lo sa, Rajoy pure, ma si continua a calciare il barattolo lungo la strada, nella speranza che il coniglio esca da solo dal cilindro.