Per capire il terreno scivoloso del Qatargate nelle istituzioni europee, più che all’elencazione di fatti riportati (non casualmente) dai media dobbiamo entrare sul terreno giuridico. D’altra parte, di ipotesi di reato si tratta e le persone accusate, coinvolte, arrestate, non sono all’apparenza i soliti criminali incalliti e già noti alle cronache.
Una prima considerazione è che il sistema dell’Unione Europea non ha sviluppato e implementato un solido sistema di “risk management” e di procedure di “compliance”, come ha fatto il settore privato da molti anni, prima di lanciarsi ad avere un ruolo attivo fuori dai suoi confini. Per esperienza pluridecennale, il modo in cui l’Ue ha affrontato il problema è burocratico-repressivo ed ex post (stringenti regolamentazioni e interventi anti-corruzione) invece che preventivo (ex ante) per evitare contatti con entità ed individui dubbi oltre che incorrere in un’inevitabile responsabilità. Le paventate “regole etiche” e una maggiore trasparenza sono al più coadiuvanti ma non risolutive. La Commissione si è applicata nel creare una “macchina” per combattere le “fake news”, ma non si accorge di chi incontra e di chi entra nei suoi palazzi e nelle sue procedure decisionali. Il problema esploso con i casi attuali è la punta di un iceberg, visto che da anni le strutture dei potentissimi (e ricchissimi) “miliardari filantropi” assistono (orientandole) le istituzioni europee nella formulazione delle sue politiche (le policy).
La grande inchiesta di Politico e Die Welt sullo sviluppo delle politiche vaccinali ne è un esempio lampante. In questi anni la narrativa ha spostato l’attenzione sui “cattivoni” del settore privato, che talvolta esistono davvero, ma che al confronto dei miliardari filantropi sembrano delle educande. Inoltre, l’esagerata politica pro società civile (le Ong) ha fatto credere che tutte queste strutture, poiché provenienti dal basso (grassroot), sono buone, democratiche e rispettose dei diritti. Cecità ideologica (woke)! PS: a mia conoscenza non esiste un registro ben organizzato e un monitoraggio attivo sulla “società civile” europea (membri, beneficiari, finanziamenti).
I prossimi paragrafi, mi scuserete se sono un po’ tecnici, descrivono lo stato dell’arte in materia di corruzione e reati collegati. A voi di trarre le conclusioni.
La definizione di principio della corruzione è quella di una condotta illegale di quei soggetti che – investiti di responsabilità pubbliche o private – agiscono in violazione dei propri doveri per ottenere un indebito profitto finanziario o di qualsivoglia natura, diretto o indiretto. La particolarità della corruzione è che essa si realizza attraverso un sodalizio (pactum sceleris) tra corrotto e corruttore avente ad oggetto il mercimonio dell’attività funzionale che, a termine, realizza un vantaggio per entrambi. È il reperimento di prove inconfutabili e opponibili in un quadro processuale penale che rende difficile la deterrenza e la persecuzione del reato di corruzione (ad esempio le “informazioni riservate” non sono rilevanti in un tribunale penale, tranne che, secondo le diverse giurisdizioni, nei casi di grande criminalità organizzata e terrorismo).
Il vantaggio (generalmente denaro) in sé non qualifica un reato di corruzione, benché possa giustificare altre imputazioni, ad esempio per appropriazione indebita o riciclaggio o millantato credito, poiché quel denaro è prova dell’effettiva corruzione se esiste una causalità verificabile tra esso e l’attività funzionale (distorta) indubbiamente favorevole alla soddisfazione del patto (cioè il reciproco vantaggio). Quindi, ai fini della dimostrazione dell’esistenza della corruzione non ipotetica, attiva o passiva, è necessaria la dimostrazione del vantaggio di entrambe le parti nel sodalizio.
In materia di corruzione è molto chiaro il Codice penale della Svizzera che nell’art. 322 recita: “Un parlamentare è perseguibile soltanto se sussiste un legame effettivo tra l’indebito vantaggio accettato e l’attività parlamentare. Una vaga correlazione non è sufficiente. Per esempio, i regali o altre liberalità fatti a titolo strettamente privato non rientrano nella fattispecie penale dell’accettazione di vantaggi”. Sia chiaro, però, che in Svizzera è considerata corruzione, ad esempio, qualsiasi attività che impedisca l’esercizio indipendente del mandato parlamentare o il corretto espletamento delle funzioni pubbliche.
Diversa è la situazione dell’Ue, che è uno spazio economico-politico e giuridico di natura ibrida – né del tutto federale né pienamente intergovernativo – nel quale con l’apertura interna delle frontiere – che ha permesso la libera circolazione dei capitali e delle merci, e in un secondo tempo anche delle persone – si è mantenuta un’asimmetria normativa, particolarmente in materia di azione penale, che resta saldamente una competenza riservata delle autorità nazionali. Sebbene i 27 sistemi giuridici siano sostanzialmente simili (nei “valori”), differenze significative esistono nella definizione delle tipologie dei reati e nelle procedure che ne permettono la deterrenza, l’identificazione e la giurisdizione. Sin dal 1997, prima dell’entrata in vigore dell’euro, la Commissione promuoveva l’armonizzazione di tre diverse categorie della fattispecie corruttiva – occasionale, strutturale o sistematica, e sistemica: Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo [Com(97)0192-C4-0273/97] – che restavano pur sempre incentrate sulla relazione tra le attività d’impresa e commerciali con quelle politico-decisionali e burocratico-amministrative.
Nella Comunicazione COM (2003) 0317 sulla politica globale dell’Ue contro la corruzione si trova una (rara) definizione terminologica della corruzione. “Non esiste un’unica definizione uniforme di tutti gli elementi costitutivi della corruzione. Una definizione piuttosto tradizionale, adottata dalla Banca mondiale ed all’organizzazione non governativa Transparency International, presenta la corruzione come ‘l’abuso di una posizione di responsabilità pubblica per ottenere un indebito profitto privato’; sembra tuttavia più adeguata una definizione più ampia quale quella adottata nel Programma globale contro la corruzione delle Nazioni Unite, ossia ‘l’abuso di potere ai fini di un profitto privato’, che ricomprende in tal modo nel suo campo di applicazione tanto il settore pubblico che il settore privato”. L’articolo 83, paragrafo 1, del Tfue (2009) riconosce la corruzione quale un “euro-reato” e la include fra i reati particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale. L’articolo 83, paragrafo 2, del Tfue permette l’istituzione di norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni negli ambiti che sono stati soggetti ad armonizzazione. Questo è stato il caso della direttiva (Ue) 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.
Tuttavia, nella sua Comunicazione Com (2011) 308 sulla lotta contro la corruzione nell’Ue, la Commissione europea riconosce che “l’attuazione del quadro giuridico anti-corruzione rimane ineguale da uno Stato membro all’altro, e complessivamente insoddisfacente. La legislazione anti-corruzione dell’Ue non è stata recepita in tutti gli Stati membri”. Infatti, le differenze non solo formali si trovano nella nozione di pubblico ufficiale, nella responsabilità delle persone giuridiche, nell’immunità dei funzionari elettivi o di nomina politica, nel millantato credito, nell’elemento oggettivo (la “corruzione buona”), nelle sanzioni estremamente variabili per gli stessi reati (da 6 mesi a 10 anni), nel settore privato, nel settore politico (finanziamento ai partiti), e nelle facilitazioni fiscali (commissioni di intermediazione, spese commerciali esterne, e consulenze).
L’impianto giuridico dell’Ue in materia di frode, corruzione e riciclaggio, è incentrato sul concetto di crimini economici in relazione al mercato unico. L’idea pregnante, sin dagli anni Settanta, è di dover evitare la “lesione degli interessi finanziari dell’Unione”, cioè “proteggere” il bilancio dell’Unione che è di provenienza nazionale e che costituisce le “risorse proprie comuni”. La parte sostanziale del diritto applicabile, e quindi la definizione specifica delle figure di reato perseguibili, è rimandata da un lato alle convenzioni internazionali (Onu, Ocse e Consiglio d’Europa/Greco) e dall’altro alla volontà politica e legislazioni di ciascuno Stato membro. L’approccio dell’Ue è ben riassunto nell’affermazione che “la corruzione dà origine a una serie di ripercussioni negative in termini finanziari e sociali in tutta l’Ue”. Un’affermazione giusta ma che è debole in termini di definizione giuridica dei concetti e degli “euro-reati”.
Sul piano operativo, l’Ue ha creato una Rete europea dei punti di contatto contro la corruzione (Eacn) alla quale partecipano anche l’ufficio antifrode (Olaf) e la stessa Commissione europea, e possono partecipare Europol (Agenzia per la cooperazione nelle attività di contrasto) e Eurojust (organo di cooperazione giudiziaria per i reati gravi transfrontalieri e gravi forme di criminalità). Solo nel 2017 è stata creata una cooperazione rafforzata denominata “procura europea” (Eppo) che è potuta entrare in funzione nel 2021 sebbene solo 22 dei 27 Stati membri abbiano aderito e nominato i propri giudici. Tuttavia, va sottolineato che ad oggi il testo giuridicamente vincolante più importante è la sopra richiamata Convenzione Ocse del 1997 (dal 1999 ratificata da 44 Stati di cui 30 G7/Ue e la Federazione Russa, ma nessun Paese arabo, dell’Africa sub-sahariana e la Cina) volta a reprimere la corruzione attiva dei pubblici ufficiali stranieri nel quadro delle transazioni di affari internazionali, poiché il fenomeno corruttivo in questo settore rappresenta un impedimento allo sviluppo sostenibile e all’affermazione della democrazia. È importante notare che la Convezione Ocse è stata ratificata dall’Ue e adottata nella legislazione dell’Unione, di fatto, senza nulla aggiungere, tacitamente espandendo il concetto tradizionale di corruzione a qualsivoglia pratica corruttiva, non più limitata alle fattispecie meramente incidenti sul bilancio comunitario.
Diversamente, gli sforzi del Consiglio d’Europa (Coe) nel promuovere la Convenzione penale sulla corruzione (1999) monitorata da uno specifico gruppo di lavoro (Greco) hanno portato a 48 ratifiche, ma l’effettività della Convenzione è parzialmente vanificata da un inusuale numero di riserve rinnovabili all’infinito (probabilmente dovute al tentativo di estendere il concetto di corruzione in molti ambiti della vita pubblica e democratica degli Stati).
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