Nel 1991, durante il processo di indipendenza dei Paesi baltici dall’Unione Sovietica ormai in crisi irreversibile, l’ex ministro della Difesa lituano Audrius Butkevičius disse che preferiva avere un libro del politologo americano Gene Sharp piuttosto che la bomba atomica. Sembrava un’esagerazione, ma non lo era.
Dopo la ex Jugoslavia, Georgia e Ucraina son state il primo campo di applicazione delle rivoluzioni non violente nello spazio post-sovietico. Nulla di spontaneo, se non in minima parte. La proiezione del soft power americano ha raggiunto Kiev con ampio anticipo rispetto a EuroMaidan 2014, considerato l’evento spartiacque dell’Ucraina contemporanea.
Sharp e le sue teorie, normalmente poste alla base delle cosiddette rivoluzioni colorate, sono note. Sono invece molto meno noti gli intrecci e le reti di supporto, fatti di know how e finanziamenti, che stanno alla base della “promozione” americana della democrazia.
Ne abbiamo parlato con Ana Otašević, giornalista di Le Monde Diplomatique specializzata nello spazio geopolitico balcanico.
In un articolo del 2019 su Le Monde Diplomatique lei ha spiegato il ruolo del movimento politico ucraino Pora!, fondato alla fine del 2003. Perché parlarne 16 anni dopo?
Pora! è il nome di un movimento di protesta dei giovani ucraini organizzato in vista delle elezioni presidenziali in Ucraina dell’autunno 2004. Questo movimento ha preso parte alla rivolta popolare denominata “Rivoluzione arancione”, innescata dalla contestazione del risultato di questa elezione da parte dell’opposizione. L’obiettivo era rovesciare il regime senza armi, sfidando la legittimità del potere e condannando le frodi elettorali. Mi sono interessata a questo metodo di cambio di regime non violento attraverso la protesta popolare perché è un processo che si inserisce in un più ampio contesto di transizione politica nello spazio post-sovietico. Tale processo può far luce sulle origini della guerra in Ucraina e sulle motivazioni dei principali attori: Russia, Ucraina, Stati Uniti e Ue.
Risulta che il modello di Pora! è stato il movimento serbo Otpor!. Quali sono le sue caratteristiche?
Otpor! (“Resistenza!”) è stato la fonte di ispirazione per i giovani attivisti ucraini. Questo movimento studentesco è stato fondato nel 1998 da un pugno di studenti ribelli che volevano far cadere il presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia, Slobodan Milošević. Questo gruppo, marginale sulla scena politica, si è trasformato in un movimento popolare, diventando un importante attore di cambiamento in Serbia. Otpor! ha cercato di mobilitare la popolazione, e soprattutto i giovani, per partecipare alle elezioni e ha fatto fronte unito con i partiti di opposizione contro il potere. Hanno così contribuito alla caduta del presidente jugoslavo nelle elezioni dell’ottobre 2000.
Si è trattato di un movimento politico spontaneo?
Nonostante il sostegno ricevuto da organizzazioni occidentali, principalmente americane, per finanziare le loro azioni e le loro reti in Serbia, Otpor! non può essere ridotto a un fenomeno impiantato artificialmente nell’ambiente serbo, perché le proteste di studenti e cittadini hanno segnato la vita politica in Serbia per tutti gli anni 90.
Quali enti hanno sostenuto Otpor?
Organizzazioni come Freedom House, National Endowment for Democracy (NED), International Republican Institute (IRI) e fondazioni private come la Open Society Foundation di George Soros.
Se Pora! nasce ispirandosi a Otpor!, vuol dire che la strategia è la stessa?
Il metodo di rivolta serbo fa parte di una strategia di lotta non violenta ed è servito da modello per le rivolte nello spazio post-sovietico e in altre parti del mondo. Dopo la caduta di Milošević i membri di Otpor! sono entrati nel governo. Hanno cercato di trasformare il movimento in un partito politico, ma le elezioni parlamentari del 2003 sono state un fiasco elettorale. A quel punto per alcuni di loro inizia una seconda vita: creano Canvas (Center for Applied NonViolent Actions and Strategies), un’associazione non profit che offre il suo know-how all’estero e diventa un attore transnazionale nell’esportazione di rivoluzioni non violente.
Come opera Canvas?
Canvas gestisce una rete di istruttori e consulenti internazionali che lavorano con “attivisti pro-democrazia”. Formano giovani attivisti alle strategie di lotta non violenta con l’obiettivo di rovesciare i regimi al potere ritenuti autoritari. Gli istruttori di Canvas insegnano la strategia del cambio di potere attraverso metodi non violenti. Sono convinti che non ci sia una rivoluzione spontanea di successo. Secondo loro, tutto si gioca nella pianificazione e nella tattica: come creare unità, incitare alla disobbedienza civile, organizzare boicottaggi; quali slogan scegliere, come usare la musica.
Qual è stato il primo campo d’azione di Canvas?
Sono state la Georgia e l’Ucraina. Ex attivisti di Otpor! hanno formato gli attivisti ucraini di Pora! nel 2003, alla vigilia delle elezioni presidenziali dell’autunno 2004, che videro contrapposti Viktor Yanukovich, candidato in linea con il presidente Leonid Kucma, al potere dal 1992, e il candidato dell’opposizione, Viktor Yushchenko.
In concreto che cos’è avvenuto?
I membri di Pora! hanno frequentato corsi di formazione in Ucraina e a Novi Sad, capitale della Serbia settentrionale, per imparare come organizzarsi, coordinare le proprie azioni su scala nazionale, gestire le pubbliche relazioni, raccogliere fondi, ecc. Alla vigilia della “Rivoluzione arancione” erano pronti a organizzare una rete in grado di dar vita a grandi manifestazioni a Maidan. C’erano circa 2mila attivisti di Pora! a Kiev, e rappresentavano una forza considerevole. Non avevano esperienza di guida di un vero processo politico. Infatti, seguendo l’esempio serbo, Pora! si è trasformato in un partito politico e si è candidato alle elezioni parlamentari del marzo 2006 in Ucraina, dove ha ottenuto solo l’1,4% dei voti. Questi attivisti sono comunque entrati in politica e hanno occupato posizioni importanti. A loro volta, gli ucraini formeranno attivisti di altri Paesi: Azerbaijan, Lituania, Russia, Iran, per dirne alcuni.
Può citare brevemente altri esempi di movimenti simili?
Prima di partecipare alla “Rivoluzione delle rose” e alla deposizione di Edouard Shevardnadze nel novembre 2003, gli attivisti georgiani di Kmara! (“Basta!”) seguirono nel giugno 2003 un corso di formazione in Serbia. Gli istruttori di Canvas hanno formato attivisti di Zubr in Bielorussia, Mjaft! in Albania, Oborona in Russia, KelKel in Kirghizistan, Bolga in Uzbekistan, Nabad-al-Horriye in Libano, 6 Aprile in Egitto. In totale hanno lavorato in una cinquantina di Paesi.
Se il loro obiettivo è mettere in discussione la legittimità delle elezioni, dove questo è avvenuto con successo?
Le ricercatrici americane Valerie Bunce e Sharon Wolchik, che hanno studiato questi fenomeni di proteste popolari nell’Est Europa, parlano di “rivoluzione elettorale”, un modello di azione politica complessa. Non è più una strategia di rovesciamento del potere con la forza, ma mediante le urne. Questo “modello elettorale”, sperimentato nelle Filippine e in Cile nella seconda metà degli anni 80, è stato trasposto nell’Europa post-comunista e nell’Eurasia. Le due ricercatrici affermano che l’Europa dell’Est è stata in cima alle priorità delle organizzazioni americane impegnate nella promozione della democrazia dalla fine dell’Unione Sovietica. Dal 1990 al 2004, il budget del progetto USAID è aumentato di sei volte. Queste organizzazioni hanno indirizzato le loro attività verso Paesi in cui erano impegnate nell’organizzazione di elezioni come elemento chiave di un processo politico. C’è anche un dettaglio molto interessante che riguarda la Serbia.
Di che si tratta?
Bunce e Wolchik sostengono che nel 1998 e fino all’estate del 1999 si è verificato un cambiamento nella politica estera americana nei confronti della Serbia, un cambiamento a cui hanno contribuito i rappresentanti del Dipartimento di Stato, l’Istituto degli Stati Uniti per la Pace, NED, NDI e membri della cerchia ristretta dell’amministrazione di Bill Clinton. Secondo quanto riferito, è stata formata una squadra con il mandato di lavorare per il cambio di regime a Belgrado. Molti di coloro che hanno lavorato alle elezioni in Cile e nelle Filippine si sarebbero trovati in prima linea in questa lotta. È stato un punto di svolta rispetto all’era della Guerra fredda, quando i funzionari statunitensi hanno sostenuto dittature anticomuniste come quelle di Pinochet o Marcos e hanno organizzato colpi di Stato in Iran, Guatemala e Cile. “Gran parte di ciò che facciamo oggi, la Cia lo faceva in segreto 25 anni fa”, disse Allen Weinstein, il primo presidente di NED, al Washington Post il 22 settembre 1991. Il “modello elettorale” è già stato applicato in Bulgaria nel 1990, poi in Slovacchia e Croazia.
Quali soggetti hanno partecipato a queste operazioni di promozione della democrazia?
Un’intera rete internazionale di collaboratori, che comprendeva Ong come Freedom House, l’US German Marshall Fund e l’International Foundation for Electoral Systems (IFES, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che offre assistenza elettorale), o ancora Open Society Institute, Ford, Carnegie, Rockefeller o la Mott Foundation. La rete comprendeva anche ambasciatori e personale di ambasciata che avevano stabilito rapporti con i partiti di opposizione, rappresentanti e movimenti della società civile, come Otpor! in Serbia, Kmara! in Georgia e Pora! in Ucraina.
Con quali risultati?
Nel loro libro Defeating Authoritarian Leaders in Postcommunist Countries, Bunce e Wolchik riportano, ad esempio, che l’ex ministro degli Esteri ucraino Borys Tarasyuk ha affermato nel 2007 che l’opposizione non sarebbe mai salita al potere nel 2004 senza aiuti esteri. Citano anche Brian Mefford, un esponente dell’IRI a Kiev dal 1999, il quale nel 2007 spiegò che un evento di quella portata non poteva iniziare senza preparazione. Nel 2009, Mefford ha guidato un team internazionale di consulenti al servizio del presidente ucraino Yushchenko.
Un bilancio di questa attività?
Tra gli esempi riusciti di rovesciamento di regimi autoritari, Canvas ha spesso citato Georgia (2003), Ucraina (2004), Libano (2004), Maldive (2008) ed Egitto (2011). Tra i Paesi dove hanno organizzato la loro formazione ma dove ritengono che il lavoro non sia ancora finito ci sono Bielorussia, Birmania, Vietnam, Zimbabwe, Swaziland, Siria, Sudan, Egitto, Tunisia, Somalia, Papua Occidentale, Azerbaijan, Papua Nuova Guinea, Venezuela e Iran.
Secondo lei è esagerato dire che EuroMaidan 2014 è la conclusione di questo lungo processo?
La situazione nel 2014 è già molto diversa. Il rovesciamento del presidente Yanukovich – la cui elezione nel 2010 è stata comunque riconosciuta come conforme agli standard democratici – è percepito da Mosca come un colpo di Stato sostenuto dagli occidentali. La successiva interferenza russa, l’annessione della Crimea e il supporto militare non ufficiale alle milizie del Donbass, sono stati presentati dal Cremlino come una risposta legittima al colpo di Stato filo-occidentale a Kiev.
Si legge che vari gruppi di estrema destra – Pravy Sektor, Una-Unso, Svoboda, ecc. – hanno svolto un ruolo marginale a Maidan nel 2014. Secondo altri, il loro ruolo è stato fondamentale. Qual è la sua opinione in merito?
Non ho lavorato su questi gruppi di estrema destra e non saprei dire qual è stato il loro ruolo nel Maidan, ma sappiamo che erano lì. Due dei loro candidati hanno fallito alle elezioni presidenziali del 2014: Oleh Tyahnibok e Dmytro Yarosh, rispettivamente candidati dell’Unione Svoboda e del Pravy Sektor, hanno ottenuto solo l’1,2% e lo 0,7% dei voti, poi nelle elezioni legislative tenutesi quello stesso anno il 4,7% per la lista Svoboda e l’1,8% per Pravy Sektor.
E per quanto riguarda i leader politici?
Per quanto riguarda i leader politici, dopo la “Rivoluzione arancione” Yushchenko ha reso omaggio a figure controverse del movimento nazionalista, fino a Stepan Bandera (1909-1959), elevato a status di eroe nel 2010.
Un eroe quantomeno controverso.
Capo dell’OUN-b, organizzazione di ispirazione fascista, Bandera è stato l’istigatore dell’Esercito ribelle ucraino (UPA). L’OUN-b forniva quadri per il politsaï, che dava la caccia agli ebrei per conto dei nazisti. L’UPA massacrò 60mila polacchi in Volinia nel 1943.
Torniamo agli sconfitti della Rivoluzione arancione.
I membri del Partito delle Regioni, descritti come filo-russi, hanno impostato l’identità locale del Donbass come ideologia, valorizzando la memoria della “grande guerra patriottica” contro il fascismo e rivendicando di essere slavi e ortodossi. Da quel momento due “memorie” si sono scontrate sul territorio.
L’ex ministro della Difesa lituano Audrius Butkevičius disse nel 1991 che preferiva avere un libro di Gene Sharp piuttosto che la bomba atomica. Qual è l’importanza del politologo americano rispetto a quello che stiamo dicendo?
I movimenti di protesta giovanile nello spazio post-sovietico e altrove sono stati fortemente influenzati dalla teoria della resistenza non violenta sviluppata da Gene Sharp. La sua ricerca è stata condotta nel particolare contesto della Guerra fredda, in cui Sharp ha sviluppato la sua teoria del potere e del consenso. Secondo lui, i colpi più efficaci contro un sistema sono quelli inferti da azioni non violente in grado di mobilitare un numero sufficiente di sostenitori per scuotere i pilastri del potere – università, esercito, polizia, media – affinché cessino di sostenerlo.
In che modo il lavoro di Sharp è arrivato in Ucraina?
Le sue teorie si sono tradotte nei movimenti di protesta nei Paesi post-sovietici e nell’ex Jugoslavia. Il suo opuscolo Dalla dittatura alla democrazia (1993) è stato introdotto in Serbia e una manciata di leader di Otpor! hanno partecipato ai seminari sulla lotta nonviolenta. Questa strategia della non violenza, teorizzata da Sharp, è stata insegnata ai militanti serbi da uno dei suoi stretti collaboratori, Robert Helvey, colonnello dell’esercito americano in pensione, esperto dei servizi segreti militari. Dalla dittatura alla democrazia è stato tradotto in Ucraina e stampato in 12mila copie con l’aiuto dell’Albert Einstein Institution, associazione no-profit fondata dallo stesso Sharp. Questo testo è stato utilizzato come manuale di istruzioni nella formazione dei giovani attivisti di Pora! dagli attivisti serbi di Otpor!.
Già nel 2019 lei sottolineava l’importante ruolo dell’ambasciatore statunitense Michael McFaul. Oggi si può aggiungere che è McFaul a elaborare le sanzioni attuate da Washington contro la Russia. Lo fa in stretta collaborazione con Andriy Yermak, collaboratore di Zelensky. Cosa puoi dirci a riguardo?
McFaul è considerato l’architetto della politica di Obama nei confronti della Russia. Come molte persone impiegate dall’amministrazione Usa nell’Europa orientale, ha intrapreso alternativamente una carriera diplomatica ed una accademica come professore di scienze politiche alla Stanford University. In un’intervista del 2012 per il portale russo indipendente Slon.ru, McFaul si presenta come “uno specialista in democrazia, movimenti e rivoluzioni anti-dittatorali”. Si interessa di elezioni nei Paesi post-sovietici e nei Balcani. Nei suoi libri sottolinea il ruolo dei programmi di assistenza alla democrazia occidentale nelle rivoluzioni elettorali in Serbia, così come in Ucraina e Georgia. Afferma l’importanza della scoperta di possibili frodi nelle elezioni come fattore cruciale di mobilitazione della società. Mette l’accento su una strategia coordinata, essenziale, secondo lui, per una rivoluzione elettorale. Rivendica inoltre l’importanza del conteggio parallelo dei voti da parte di osservatori nazionali e internazionali della società civile. Nel suo libro Ukraine imports democracy. External influences on the Orange Revolution considera la “Rivoluzione arancione” uno “spettacolare esempio di rottura democratica, se non la più importante svolta democratica del decennio”. Secondo lui il governo degli Stati Uniti ha speso più di 18 milioni di dollari per la “promozione della democrazia” nei due anni precedenti le elezioni presidenziali del 2004 in Ucraina. Nelle e-mail di Stratfor, una società privata statunitense specializzata in analisi geostrategiche, pubblicate da Wikileaks nel 2012, si è appreso che McFaul era in contatto con gli attivisti di Canvas.
Qual è stato il ruolo dell’Unione Europea nel processo di costruzione dell’opzione “occidentale” in Ucraina?
L’Ue e gli Stati Uniti non erano esattamente sulla stessa linea per quanto riguarda l’Ucraina. Come per tante altre questioni di politica internazionale, l’Ue era ed è divisa, nella sua strategia nei confronti della Russia, in linea di massima tra gli atlantisti, allineati con le posizioni americane, e coloro che sono favorevoli alla riduzione dell’escalation, a favore di una politica di ripresa del dialogo con Mosca. Europei e americani hanno dato il loro sostegno alla fine del 2013 alle manifestazioni di EuroMaidan, che hanno portato al cambio di potere, ma Washington ha svolto un ruolo molto più aggressivo. Come è noto, la lampante manifestazione della frustrazione americana nei confronti dell’Ue è stata la reazione di Victoria Nuland a una telefonata del gennaio 2014 con Geoffrey Pyatt, ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina.
Il famoso “And, you know… Fuck the Eu”, detto da vicesegretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia.
Esatto. In quella conversazione, che è stata resa pubblica (gli Stati Uniti hanno accusato i servizi segreti russi di averla diffusa), si stava parlando del prossimo governo ucraino, e nello scambio sono emersi i nomi di Arseny Yatsenyuk detto “Yats” e Vitali Klitschko, entrambi leader di EuroMaidan. Yatsenyuk è diventato primo ministro dell’Ucraina il 27 febbraio 2014 e Vitali Klitschko è sindaco di Kiev da maggio 2014.
Qual è stato, oltre la celebre dichiarazione, il ruolo di Nuland?
Ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la Nato ed ex consigliere di Dick Cheney, ha svolto un ruolo attivo in EuroMaidan, insieme ad altri alti funzionari dell’amministrazione statunitense. Ha negoziato garanzie sui prestiti all’Ucraina e la consegna di aiuti militari all’esercito ucraino. Sottosegretario di Stato agli Affari politici dal 2021 – il numero tre nella diplomazia statunitense – è vista come una delle principali sostenitrici della consegna di armi all’Ucraina.
E se volessimo concentrarci sull’operato europeo?
Gli europei, dal canto loro, hanno lasciato che la situazione si deteriorasse. Hanno intrapreso una lunga diplomazia che non ha prodotto risultati. La loro iniziativa denominata “Formato Normandia”, lanciata nel 2014 da François Hollande e Angela Merkel, ha avviato negoziati quadripartiti tra Berlino, Mosca, Kiev e Parigi per risolvere la guerra civile in Ucraina, ma che si sono conclusi con un fallimento.
Questo processo diplomatico è stato paralizzato per otto anni. Perché?
Perché gli ucraini non lo volevano e i russi hanno incolpato Parigi e Berlino di aver difeso l’Ucraina. Il Cremlino alla fine ha cercato di negoziare direttamente con gli americani, considerandoli i veri “padrini” di Kiev. Questi negoziati organizzati a Ginevra lo scorso giugno sono stati un’umiliazione per la diplomazia europea. Gli europei sono stati ridotti a spettatori dei negoziati russo-americani sulla “sicurezza” del vecchio continente, che si è conclusa in guerra… La guerra in Ucraina è in parte la conseguenza dell’inerzia e della passività della diplomazia europea.
A suo avviso la strategia americana di costruzione del potere ucraino, alla luce degli eventi di questa guerra, è riuscita o è fallita?
La strategia americana era duplice. Dal 1991 si è concentrata sul soft power attraverso il sostegno alla società civile ucraina e all’opposizione filo-occidentale; sostegno finanziario, politico e militare. Inoltre, gli Stati Uniti hanno esercitato una forte pressione sui loro alleati europei per integrare l’Ucraina e la Georgia nella Nato, anche se la stragrande maggioranza degli ucraini era contraria.
E per quanto riguarda l’Europa?
Gli europei non hanno sviluppato un’autonomia strategica dagli Stati Uniti e questo ha rafforzato le linee di frattura nel continente.
(Federico Ferraù)
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