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Home » Economia e Finanza » DIRETTIVA UE SULLE CASE/ “Effetti devastanti per tutti gli italiani, perché non se ne parla?”

  • Economia e Finanza

DIRETTIVA UE SULLE CASE/ “Effetti devastanti per tutti gli italiani, perché non se ne parla?”

Int. Giorgio Spaziani Testa
Pubblicato 8 Dicembre 2022
Bologna (Pixabay)

Bologna (Pixabay)

Una bozza della Commissione Ue prevede, entro il 2030, che gli immobili residenziali rientrino almeno nella classe energetica F ed entro il 2033 almeno nella classe E

“Devastante”. Lo definisce così Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, l’impatto che potrebbe avere la direttiva della Commissione Ue – al momento si tratta ancora di una bozza, all’esame del Parlamento europeo – che prevede, entro il 2030, che gli immobili residenziali rientrino almeno nella classe energetica F ed entro il 2033 almeno nella classe E.


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Proprio Confedilizia, assieme alle altre associazioni europee dei proprietari, già nel 2021 era riuscita a rintuzzare una proposta della stessa Commissione che imponeva la revisione energetica, in assenza della quale sarebbe stato impossibile vendere o affittare l’immobile. Ora Bruxelles torna alla carica e anche il Consiglio europeo, che pure vorrebbe lasciare ai singoli Paesi la definizione della traiettoria di maggiore efficientamento energetico, vorrebbe partire con queste novità dal 2030, portando entro il 2033 tutti in classe D e con l’obiettivo di arrivare al 2050 a emissioni zero. Un’ideologia verde, secondo Spaziani Testa, che rischia di trasformarsi in una batosta green, specie qui in Italia.


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Con la nuova bozza di direttiva della Commissione Ue è in arrivo sull’Italia una stangata green dall’Europa?

Effettivamente è in arrivo qualcosa di molto devastante, per due particolarità che l’Italia ha rispetto a tutti gli altri Paesi europei. La prima: siamo un Paese a forte diffusione della proprietà immobiliare, che non vuol dire solo proprietari di prima casa, ma anche di ulteriori proprietà. Una platea in aumento con il trascorrere degli anni per via dei passaggi generazionali, e in questi casi si tratta spesso di case non abitate, già soggette a imposta patrimoniale come l’Imu, quindi non sono dei lussi, ma in molti casi addirittura dei problemi.


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E la seconda peculiarità?

È legata alla nostra storia, alla nostra morfologia e alle caratteristiche del nostro patrimonio immobiliare, che è, per l’appunto, collocato in luoghi ben diversi da quelli di altri Paesi, basti pensare alle località collinari o montane, con un’età risalente nel tempo e con una bellezza altrettanto rilevante. Tutto ciò rende difficile, se non addirittura impossibile, poter fare gli interventi richiesti. Quindi, se non si correggerà questo in sede europea o quanto meno in sede italiana, per quanto possibile, nell’atto di recepimento, la direttiva avrà un impatto devastante, senza neppure la certezza di raggiungere gli obiettivi che si prefigge.

Che cosa rischiano le famiglie italiane?

Rischiano di veder deprezzato da un momento all’altro il loro immobile. Nonostante sia stato scongiurato un anno fa, proprio grazie a una nostra campagna, il pericolo del divieto di vendita o di affitto di un immobile in assenza di determinati standard energetici, qualora si dovesse stabilire una data entro la quale un immobile deve rientrare in una specifica classe energetica, in tutti quei casi in cui questo adeguamento non dovesse essere fattibile, quell’immobile perderebbe valore e un proprietario potrebbe trovarsi nella situazione di doverlo svendere.

Insomma, o ci si adegua, ma l’operazione si prospetta molto costosa, o si svende, tertium non datur?

Esatto. E solo per citare un esempio, sarà un problema serio anche per molte case di periferia, dove magari abitano persone che già pagano l’Imu e non avranno le risorse per affrontare l’efficientamento energetico, perché hanno perso il lavoro.

Perché in Italia di questo pericolo non si parla?

È una sorta di sottovalutazione dettata da un mix di ragioni: un po’ è superficialità, un po’ è presenza di altre emergenze, un po’ è la lontananza nel tempo, sia dell’approvazione della direttiva che del decreto legislativo di recepimento. Come accade spesso, finché la tegola non arriva a pochi centimetri dalla testa, si ignora il pericolo. Bisognava invece occuparsene, e fare, molto di più già prima, in sede europea, per limitarne la portata o per favorire una maggiore discrezionalità ai singoli Paesi, perché oggi è più difficile poter incidere. E magari saremmo riusciti a stabilire eccezioni ben maggiori rispetto a quella attualmente prevista.

Si riferisce al fatto che dall’obbligo dovrebbero essere esclusi gli edifici di particolare rilievo storico? Non è sufficiente?

È proprio l’opposto: è una definizione troppo ristretta. Gli edifici di particolare rilievo storico sono una piccola parte degli immobili che andrebbero salvaguardati.

A Bruxelles è in corso anche la revisione dei requisiti tecnici per le attestazioni di prestazione energetica: entro il 2025 vanno modificati. I nuovi standard nascondo qualche insidia?

Sì. A parte la confusione e l’incertezza, se i parametri cambieranno c’è il rischio che chi ha fatto interventi di riqualificazione energetica, magari sfruttando ecobonus o Superbonus, seguendo certi criteri, poi si ritrovi a doverne seguire altri, vanificando quanto fatto. Non posso immaginare cosa potrebbe succedere… Non si può correre dietro a questi capricci e alle pressioni delle varie lobby.

L’efficientamento energetico è però importante, non crede?

A mio avviso, il raggiungimento di particolari obiettivi di risparmio energetico è un obiettivo giusto, ma la spinta impressa dall’Europa è eccessiva. E in tutto questo ci sono coloro che sfruttano questa ideologia per proporre, anzi, imporre tutto ciò che serve al loro business.

Che soluzioni suggerite? Che tipo di interventi dovrebbe fare l’Europa?

Se vuole dare uniformità agli interventi per il risparmio energetico del patrimonio immobiliare dei vari Paesi, l’Ue dovrebbe tenere conto delle diversità e specificità nazionali e quindi lasciare in generale maggiore libertà agli Stati membri. E la linea da seguire non può essere l’imposizione, ma l’incentivazione: gli obiettivi vanno accompagnati e aiutati.

A Bruxelles si parla anche di un intervento sugli affitti brevi per frenarne la diffusione. Anche su questo siete contrari?

Innanzitutto, che competenza ha l’Unione Europea a intervenire sugli affitti brevi? E più in generale, mi sembra che ci si voglia adeguare a un’impostazione che vede come il male assoluto una forma di ospitalità che deve avere la stessa legittimazione delle altre. Se ci sono in alcuni luoghi delle negatività, ed è tutto da dimostrare, date dalla diffusione degli affitti brevi, noi chiediamo che queste negatività siano affrontate con strumenti di incentivazione e non di divieto.

Come?

Per esempio, per l’Italia c’è la necessità di rendere più efficiente il sistema giudiziario esecutivo e di non portare i proprietari a fuggire dagli affitti lunghi per paura di non avere l’immobile al momento della necessità della restituzione. Si possono adottare politiche fiscali non solo di incentivazione, ma di riduzione delle tasse per gli affitti lunghi.

Dall’Europa arrivano ancora pressioni e sollecitazioni per aumentare la pressione fiscale sulla casa?

Ultimamente no, perché non sono arrivati provvedimenti in cui quelle raccomandazioni, peraltro periodiche, sono contenute. Nella testa dei decisori europei resta questa impostazione: se ci saranno nuove raccomandazioni, noi confidiamo che il nuovo governo non ne tenga affatto conto. Bisogna andare in direzione opposta a quelle richieste: l’imposizione sugli immobili va semmai ridotta, non aumentata, magari, come chiede proprio la Commissione Ue, attraverso il metodo un po’ surrettizio dell’aggiornamento dei valori catastali.

(Marco Biscella)

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