Divieto di ban: la nuova legge UK che impone ai datori di lavoro di agire se i dipendenti si dicono offesi da parole di clienti o terzi. Tutela o censura?

Nella nuova Employment Rights Bill, in discussione al Parlamento britannico, è contenuta una clausola (denominata “divieto di ban”) che impone ai datori di lavoro – inclusi pub, università, negozi e locali pubblici – di prevenire ogni possibile molestia verbale ai dipendenti da parte di terzi, clienti inclusi.



In altre parole: se un cameriere si sente offeso da ciò che ascolta al tavolo di un cliente, il datore di lavoro potrebbe finire in tribunale: è questa la sostanza del cosiddetto “divieto di ban”, una definizione paradossale che vuole ribadire come i dipendenti non potranno più essere “ignorati” se si dichiarano turbati dalle parole altrui.



A difendere il provvedimento è il Ministro del Lavoro Lilian Greenwood, che parla di una misura necessaria “per far sì che i lavoratori ansiosi possano rendere al meglio senza paura di offese o giudizi tossici”, ma le reazioni al divieto di ban non sono di certo mancate: imprenditori, giuristi e parlamentari avvertono che si rischia di aprire una stagione fatta di querellee per ogni frase, battuta o diverbio.

“È l’inizio della fine per i pub come li conosciamo – dice Lord Youngogni conversazione potrà diventare un capo d’imputazione”. La libertà d’espressione, in questo scenario, non sarebbe più un diritto, ma un rischio legale da evitare con il silenzio.



Divieto di ban: tutela o censura?

“Per centinaia di anni le persone hanno potuto discutere al pub. Adesso rischiano una causa per un’opinione forte” dichiara Luke Johnson, ex presidente di Pizza Express e The Ivy, riassumendo il disagio di tanti imprenditori.

Il divieto di ban è pensato per proteggere, ma potrebbe diventare uno strumento per zittire, poiché – secondo la legge – un dipendente potrebbe sentirsi molestato anche ascoltando una discussione tra clienti e pretendere azioni legali da parte del datore di lavoro: non è necessario che sia presente, né che i commenti siano diretti a lui: basta che si sappia, che qualcuno riferisca, che ci sia disagio.

La Commissione per l’Uguaglianza e i Diritti Umani ha già bocciato la vaghezza del divieto di ban, paventando “limiti eccessivi alla libertà d’espressione” e le opposizioni si stanno già muovendo: Lord Young ha presentato una serie di emendamenti per escludere dalla legge opinioni religiose, politiche e morali che, pur essendo scomode, non risultano indecenti.

Il rischio del divieto di ban – avvertono in molti – è un possibile effetto domino: dai pub alle università, dagli stadi alle conferenze, ogni parola potrà essere usata come prova di molestia, mentre il Ministro Greenwood tenta di rassicurare: “Non stiamo controllando le conversazioni private, ma creando ambienti sereni”, ma è chiaro e palese che qualcosa si sia rotto nel fragile equilibrio tra sicurezza emotiva e diritto a esprimersi.