Dopo I dieci comandamenti, Domenico Iannacone è al timone di Che ci faccio qui su Rai Tre: il giornalista ne parlerà a Tv Talk.
DOMENICO IANNACONE, “RACCONTO DI PERSONE CHE HANNO ANCORA UMANITA'”
Intervistato da Huffington Post, Domenico Iannacone ha presentato così il suo Che ci faccio qui: «Nasce sulla scia de I Dieci Comandamenti perché al suo interno ha delle dinamiche legate al racconto che sono tipiche: attraversare luoghi, incontrare persone. Il metodo antropologico di cercare contatto con le varie umanità che di volta in volta incontro. 25 puntate in tutto, di cui 10 saranno con ospiti che verranno in un luogo senza identità». Sulle storie che tratta il suo programma ha evidenziato: «Storie di umanità variegata. L’idea bella è che io posso andare in tutte le direzioni possibili, non è un viaggio stereotipato, univoco, fatto per categorie. È un viaggio aperto. Rimangono i temi sociali de I Dieci Comandamenti, ma non mi precludo l’introspezione. Un esempio è stata la storia raccontata durante la prima puntata. Jago, scultore giovanissimo, rappresenta la dimensione umana che mi piace raccontare: l’idea che ci possa nutrire di sogni, malgrado gli ostacoli. Perché lui è un antiaccademico e se avesse fatto l’accademia a quest’ora forse non avrebbe concluso il suo destino di artista. Mi piace che ci siano forme di resistenza umana. Ho particolare attenzione nei confronti di categorie che sono svantaggiate nella vita».
DOMENICA IANNACONE, “LA SOCIETA’ HA PERSO UMANITA””
Domenico Iannacone ha poi parlato del filo conduttore che unisce tutti questi mini film: «C’è una linea sottile che unisce tutte queste vite: l’essere riusciti a trovare la propria dimensione, ma anche il senso di fragilità che le accompagna. Non perdo mai di vista l’uomo. Il mio racconto non li fa apparire superuomini, non mi interessano i superuomini. Mi interessano le persone che hanno umanità ancora radicata dentro». Prosegue, ai microfoni di Huffington Post, parlando della nostra società: «Ha perso umanità? Certo, la nostra umanità si è spersonalizzata, la comunicazione si è spersonalizzata, anche la tv è diventata un’altra cosa. Il modo migliore per riannodare i fili è quello di sporcarsi le mani: nel mio caso, io non prevarico gli intervistati, ma resto quasi in ascolto e lascio che la storia si snodi da sola, senza intervenire. Sono io che devo tornare cambiato, alla fine».