L’assurdità non ha mai fine. È l’unica cosa certa di questo mondo inquieto. Leggo la notizia, abbastanza ridicola, di due gemelle australiane che hanno speso una fortuna per essere perfettamente identiche. Non faccio volutamente nomi perché non gradisco pubblicizzare quello che pare più un’operazione commerciale che una storia vera. Le due giovani ora hanno tutto in comune: fisico, cellulare, indirizzo Facebook e anche il fidanzato. Lo dicono in un video penoso, con l’aria stereotipata di chi è totalmente ricostruito per assecondare i dettami di una moda bizzarra, lo dicono con evidente soddisfazione. Dietro l’aspetto patetico della vicenda, che certo non rende ragione al mistero dei parti gemellari e alla dignità della donna, c’è la sottile enfasi di chi vuole rompere con l’istituzione matrimonio: «In fondo che male c’è se un uomo condivide due donne perfettamente uguali». Si comincia sempre così a scendere la china, la parolina magica è sempre questa… in fondo che male c’è.
Il male lo si vede sempre e solo dopo, quando, un decennio più tardi, aumenta vertiginosamente la cronaca nera sulle pagine dei giornali, quando aumentano le cifre di certi affari economici legati al divorzio, all’aborto e al mutamento di sesso, voluto dalla politica del gender. E si potrebbe continuare. Il dio Mammona si serve immancabilmente delle illusioni della modernità. Care gemelle, che la madre non ha educato a un’opportuna e sana identità, unica e irripetibile, voglio dirvi una cosa: preferisco guardare Picasso e la sua «Corsa» del 1922. Dopo tutto, queste due donne, vi somigliano: nelle misure, nella disinibizione e nella corsa verso un paradiso che non c’è. In una cosa si distinguono, anzi in due. Picasso ha preso più soldi per queste due ragazze, di quanti voi ne abbiate spesi per rifarvi il look. Inoltre, la bella e la prorompente vitalità, che alla fine Picasso ha saputo infondere a questa corsa, non ha nulla a che vedere con la vostra postura da ragazze in vetrina. Non abbiatene a male se vi parlo così.
Parlo a voi, ma in fondo, mi rivolgo a chi legge. Apriamo gli occhi davanti agli esempi che ci propinano, c’è sempre un secondo fine nel portare alla ribalta certi casi. Il fine di stravolgere la cultura del bene. Picasso aveva visto giusto quando dipingeva questo bozzetto per la realizzazione del fondale di scena del balletto di Darius Milhaud Le Train bleu. L’umanità si è gettata ormai in una corsa verso il nulla, un train bleu, un treno dai desideri impossibili che spengono la vera umanità. Una cosa mi colpisce nell’opera di Picasso: una donna è tutta protesa verso il futuro e guarda l’orizzonte. È la più idealista e, forse, la più abbandonata dentro la logica della sua stessa corsa. L’altra invece, mentre solleva il braccio sinistro, lascia cadere il destro verso il luogo dal quale provengono.
Verso quel passato che le ha rese donne e che ora abbandonano velocemente. Il volto di quest’ultima è rivolto al Cielo, come in un estremo desiderio di eternità. E se la bocca accenna a un sorriso, lo sguardo rimane venato di nostalgia. Mi sembra un ritratto del nostro tempo, questa sì mi pare una storia vera: desideriamo testimoni della realtà (di una Realtà che conserva la lettera maiuscola), e non profeti dell’assurdo, come certa cronaca ci distribuisce a piene mani.