Sul caso Garofani-Mattarella-Meloni si sta ancora scrivendo molto. Ma il problema principale non riguarda più la maggioranza, bensì la sinistra
Il nome di Ernesto Maria Ruffini è stato nuovamente pronunciato su di una terrazza romana. Certo, fatto a caso in una conversazione del tutto informale. Ma è stato rievocato come il possibile punto di riferimento di una coalizione anti-meloniana. Purtroppo, probabilmente, Ruffini non lo vogliono proprio quelli che dovrebbero usarlo per vincere.
Non lo vuole la sinistra estrema del Partito democratico, che nella radicalizzazione delle posizioni ha trovato la propria nuova linfa. Non lo vuole quella parte di sindacato – Cgil e dintorni – che si è appoggiata all’attuale segreteria e che vede nel conflitto sociale del prossimo anno e mezzo la ragione stessa e della propria esistenza.
Non lo vuole in pratica tutta quella parte di ex comunisti che ancora sentono viva la loro funzione storico-sociale come antagonista al sistema. Ed in parte forse non lo vuole nemmeno un pezzo del centro, che si sente defraudato del ruolo di raccoglitore dei voti moderati da una figura che non si comprende bene dove si dovrebbe collocare elettoralmente.

Sono in tanti a non volerlo, ma forse sono anche in tanti ad averne bisogno. Un bisogno che dovrebbe nascere dalla necessità, avvertita come l’unica vera urgenza, di dover sconfiggere il centrodestra elettoralmente.
Ma anche dalle parti dei 5 Stelle il nome di Ruffini è visto come fumo negli occhi. Ritengono di avere in Giuseppe Conte la persona giusta per poter parlare a moderati e nostalgici del reddito di cittadinanza. Perciò, Ruffini non serve.
Ma allora chi vuole Ruffini per davvero? Lo vuole una parte dell’establishment nazionale che sa che certe partite e certi tavoli possono essere frequentati in maniera corretta solo da chi è stato allevato per farlo. Lo vuole la parte moderata del Pd, che rivede in lui la figura che fu di Prodi, attorno alla quale unirsi per poter prendere di nuovo una posizione di vantaggio nei confronti dell’attuale segreteria.
Probabilmente lo vuole anche una parte dei frequentatori abituali dei palazzi del potere, che ne conoscono le doti e le abilità e lo ritengono forse in grado di poter dare maggiore sostanza ad un governo che vada dall’estrema sinistra a Renzi.
Non è detto che questo schema, ovvero il candidato federatore esterno, funzioni. Nel tempo delle polarizzazioni si rischia di avere un candidato poco attrattivo nella battaglia degli estremi. Questa è la scusa per il centrosinistra per dividersi e litigare e fare ciascuno i propri interessi di bottega. Finché le botteghe, però, resteranno aperte. Non è detto che durino tanto.
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