DOPO IL CONSIGLIO UE/ Folli: la Merkel ha in mano il destino di Conte

- int. Stefano Folli

“La Merkel mette l’Italia al bivio tra riforme vere e assistenzialismo. Il vincolo politico sull’Italia aumenta e mette la maggioranza davanti alle sue contraddizioni”

merkel 1 lapresse1280 640x300 La cancelliera tedesca Angela Merkel (LaPresse)

Il diavolo, come si sa, si nasconde sempre nei dettagli. Che mancano, perché non basta certamente il comunicato finale del Consiglio europeo a dirci come funzioneranno le condizionalità e i meccanismi di sorveglianza che una lunga serie di Regolamenti, ancora tutti da scrivere, dovranno prevedere. Nel frattempo ci si deve accontentare delle linee generali. 390 miliardi di fondo perduto e 360 di prestiti, 209 miliardi all’Italia, di cui 127 di finanziamenti (prestiti) e 82 di fondo perduto; condizionalità da definire, governance in capo alla Commissione.

La novità è essenzialmente politica, dice Stefano Folli, editorialista di Repubblica. “La Merkel vince la partita e mette l’Italia al bivio tra riforme vere e assistenzialismo. Il vincolo politico sull’Italia aumenta, non diminuisce, e per questo mette ancora più allo scoperto le contraddizioni insite nella maggioranza”.

“Da un punto di vista tecnico è un buon risultato per l’Italia” spiega Folli al Sussidiario. “La situazione sembrava compromessa, poi la Merkel ha esercitato la sua notevole capacità di mediazione. È lei la vera vincitrice della partita.

E adesso?

Bisogna capire come i fondi arriveranno in Italia, come saranno ripartiti e come saranno condizionati a progetti.

Scrivere bene i quali è compito nostro.

Appunto. Non dimentichiamo che il nostro piano per le riforme è ancora abbastanza generico, è non è ancora passato al vaglio del Parlamento. Insomma il risultato, buono, non risolve però d’incanto i problemi italiani.

Proprio per questo occorre immaginare cosa può succedere nel breve termine, nell’intermezzo tra l’arrivo dei fondi, ancora lontano, e la crisi nella quale ci troviamo.

La logica vorrebbe che il Mes, che Conte continua ad escludere, venga di nuovo posto sul tavolo, perché i soldi del Mes sono a disposizione molto più rapidamente dei soldi del Recovery.

Soldi fortemente condizionati che vanno restituiti.

Sì, esattamente come gran parte dei 209 miliardi del Recovery. I sussidi possono essere messi in campo per riforme strutturali, non certo per assistenzialismo.

Perché dice questo?

Ma perché la logica di questo governo, e anche di qualche altro governo che lo ha preceduto, è fondamentalmente assistenzialista. Il paese è al bivio: o con questo risultato puntiamo soltanto a guadagnare altro tempo per non affrontare le questioni vere e compiacerci che Salvini è rimasto isolato. Oppure affrontiamo i problemi di fondo, come vorrebbe la Merkel.

Questa maggioranza sarà capace di farlo?

Lo scopriremo vivendo. Finora la maggioranza, anzi l’intero nostro sistema politico, non ha dato segni di prendere questa rotta. Potrebbe essere l’ultima occasione.

Fatto sta che a Bruxelles dell’Italia non si fidano.

L’Italia è il malato d’Europa e ha una classe politica che suscita molti dubbi nei nostri partner. Fino ad ora però la realtà ha dimostrato che a questo governo, anche se ha dentro i 5 Stelle, non c’è un’alternativa praticabile.

Quindi?

È a questo che servono le condizioni, ad avere meccanismi molto stringenti di controllo su come si spendono questi soldi. Da questo punto di vista il vincolo sull’Italia è aumentato, non diminuito. Che si tratti del Mes o del Recovery Fund non fa tanta differenza.

Perché secondo lei?

Perché il vincolo è innanzitutto politico. Si fa in modo che l’elargizione dei fondi sia vincolata a precisi programmi approvati dal governo dell’Unione. La contropartita è la cornice europea delle riforme. Vuol dire che il vincolo è l’Europa stessa.

E questo che cosa comporta?

Comporta che da adesso ignorare il rapporto con l’Europa diventa molto più oneroso: possiamo far finta che l’Ue non ci sia, credere che ci dia i fondi e poi si disinteressi di noi, ma il prezzo da pagare sarebbe molto alto.

Quali saranno le ripercussioni della situazione che ha descritto sui partiti di governo?

Tutte le forze politiche si trovano ora di fronte a uno scenario nuovo. Il Pd ne è l’interprete ne rappresenta integralmente la narrazione. M5s invece è più in difficoltà, a cominciare dal Mes. Questo espone il governo ad una contraddizione rilevante.

Ovvero?

Una cosa è tenere a bada un partito come M5s portandolo su posizioni ragionevoli, anche riguardo all’Europa. Altra cosa è fare un’alleanza strategica, come vuole Zingaretti, in chiave prima regionale e poi nazionale.

Quali sono i nodi che attendono di venire al pettine?

Il primo è il Mes. Conte cerca di dimenticarsene, ma la questione non è aggirabile. I soldi del Mes sono disponibili subito, quelli del Recovery no. Ma le condizioni, come per il Recovery, sono più politiche che tecniche.

Il Mes si può evitare.

Si può non prenderlo se si hanno le risorse finanziarie per farne a meno. Le abbiamo? Ma qui troviamo gli altri problemi da affrontare. Siamo alla vigilia di un nuovo scostamento di bilancio, c’è un malumore crescente dovuto al pagamento delle scadenze fiscali, c’è una grave carenza di cassa.

Le regionali?

La maggioranza M5s-Pd può sopravvivere a un pareggio, ma non a una sconfitta del centrosinistra. Va detto che il centrodestra ha i suoi problemi.

A cominciare da Berlusconi, pronto a votare il Mes.

Infatti. Salvini è rimasto confinato in posizione estremista, la Meloni si pone il problema del rapporto con l’Europa in termini più realistici.

È per questo che le viene attribuito un consenso crescente?

Ha colto le novità più del suo alleato.

(Federico Ferraù)





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