La cinese Byd non si limita a fare pubblicità, ma attacca il governo italiano. Perché l'Antitrust tace? Intanto D'Alema e Prodi stanno con Pechino

Il claim vuol suonare simpatico  – “Casino o casinò?” – ma la campagna lanciata da Byd per incentivare la vendita delle auto elettriche cinesi in Italia non fa nulla per nascondere una faccia decisamente feroce.

Pur senza nominarlo, la pubblicità irride e accusa apertamente il governo italiano – la “burocrazia” – di aver prodotto solo “confusione di regole” (sic). Che ora il produttore cinese promette di vendicare sul mercato con un incentivo “trasparente, semplice e ad accesso garantito”. Così a tutta pagina – o a tutto banner – sui maggiori media nazionali.



Anzitutto: l’Antitrust non ha nulla da dire? La pubblicità di Byd che accusa il “regolatore” del mercato (in questo caso il massimo potere esecutivo di uno Stato sovrano) di “confondere le regole” non è a rischio di “ingannevolezza”? E non vi traspare un anomalo profilo “comparativo”? Non fra brand di auto, ma fra sistemi-Paese. E qui la questione pare farsi pesantemente geopolitico-economica.



Byd è oggi una delle punte di lancia della competizione cinese sui mercati globali terremotati dai dazi Usa e sulla via della Seta verso la Ue, interrotta dalla guerra ucraina. Ed è uno dei più potenti agenti del dumping del Dragone, sleale e a tutto campo. È il concorrente più che simbolico di Tesla, la casa madre dei veicoli elettrici fondata in California da Elon Musk. È un emblema quotidiano e capillare della transizione verde, il tema sociopolitico più divisivo fra 450 milioni di europei.

BYD, primo produttore di auto cinesi al mondo (Foto: ANSA-EPA/RUNGROJ YONGRIT)

Soprattutto: Byd è un gruppo ufficialmente controllato dal fondatore Wang Chuanfu, basato nello Shenzen iper-industrial/tech e quotato alla Borsa di Hong Kong. Ma nella Cina del paramount leader Xi Jinping – recente ospite di Vladimir Putin e Narendra Modi – nulla è privato; tutto è parte di un enorme Leviatano burocratico congruente con un regime autocratico, il contrario di “trasparenza, semplicità, garanzie” che Byd rivendica in un’Italia “casinista”. E in Cina tutto è sempre più anti-occidentale, con l’aggressività bullistica ben espressa dalla campagna Byd, puntata esplicitamente contro una grande democrazia di mercato della Ue. Contro un governo che ha congelato la via della Seta e non mostra le attenzioni dei precedenti governi a guida M5s e Pd.



Questi ultimi – pur dopo la pandemia scatenatasi in Cina – non hanno mai fatto mistero di una preferenza filocinese, tendenzialmente terza e non più allineata con gli Usa. Una postura che non si è mai spenta, anzi si è riaccentuata dopo il passaggio del centrosinistra all’opposizione. Nessuna dimentica che lo scorso 5 novembre – il giorno dell’elezione di Trump – il presidente della Repubblica Sergio Mattarella era in visita ufficiale a Pechino, accompagnato dal patron di Stellantis John Elkann (nel frattempo rapidamente riconvertitosi al trumpismo) e all’ex premier e presidente della Commissione Ue Romano Prodi. Neo-titolare della Agnelli Chair of Italian Culture all’Università di Pechino. Non da ultimo, sponsor del fallito sbarco del produttore di supercar cinesi Silk-Faw a Reggio Emilia (città natale di Prodi) nel cuore della motor valley regionale, attorno al quartier generale della Ferrari.

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