Oggi l’azienda incontrerà governo e sindacati per il piano di esuberi, ma i problemi più grossi di Telecom, spiega SERGIO LUCIANO, sono altrove
Sembra una metafora dell’impasse politica nazionale, la vicenda di Telecom Italia. Lo sembra, in effetti, anche perché in buona parte ne risente.
Oggi l’azienda incontrerà governo e sindacati per un nuovo “round” sulla trattativa che ha aperto sui 3.700 licenziamenti annunciati e congelati. È ben difficile che un governo dimezzato come l’attuale, impotente nella spesa a causa dei vincoli europei e delegittimato nella forza parlamentare dallo “scisma” di Fini possa rappresentare per Telecom da una parte un interlocutore autorevole nell’imporre eventuali scelte non condivise – per esempio in materia di investimenti nella fibra ottica – e dall’altra un interlocutore affidabile per garantire sostegni, agevolazioni anche solo normative o comunque tutto quanto un grande gruppo può sperare da un governo alla vigilia di una fase di metamorfosi.
Lo stallo dell’azienda non è però sensibile solo sul fronte sindacale, bensì anche su quello industriale. Le idee di Franco Bernabè sono chiare, indubbiamente, e hanno finora avuto una loro conseguenzialità.
Ma il fatto che il governo abbia prestato ascolto alle proposte-proteste dei concorrenti di Telecom sulla rete fissa e sulla sua ristrutturazione in fibra ottica, cioè al gruppo costituito da Vodafone, Wind, Fastweb e Tiscali, aprendo un secondo tavolo di trattative senza però avere la forza finanziaria per sparigliare i giochi (perché il governo non ha un euro da investire sulla fibra), né la forza politicale per costringere una parte o l’altra a cedere e a convergere sulle posizioni dei rivali, si traduce in un’impasse anche su questo fronte.
Imbarazzante come anche nelle sedi pubbliche potenzialmente più appropriate, come la carrellata di convegni di Cortina InConTra a Cortina d’Ampezzo, in un convegno sugli investimenti in infrastrutture né il ministro competente Altero Matteoli, né il suo vice Roberto Castelli, pur citando a gogò autostrade, ponti e alta velocità, non abbiamo fatto minimamente menzione della eventuale nuova rete in fibra ottica, cui secondo gli auspici dei concorrenti di Telecom dovrebbe partecipare la Cassa depositi e prestiti, né l’abbia fatto il presidente della Commissione Trasporti e Infrastrutture della Camera Mario Valducci. Come dire: un assordante, eloquente silenzio.
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Una schiarita – fosse anche solo psicologica – potrebbe venire dai risultati della semestrale, che verranno approvati dal consiglio d’amministrazione del 5 agosto prossimo: ma non è dato sapere nulla sul trend, anche se alcuni risultati degli operatori confrontabili come France Telecom fanno ben sperare e se la controllata Telecom Italia Media, che possiede La7, ha annunciato nei suoi conti un superamento del budget e una netta riduzione delle perdite.
Niente di chiaro neanche nelle relazioni internazionali del gruppo, stretto tra l’ingombrante maggior singolo azionista, che è la spagnola Telefonica, e l’impossibilità di creare con essa maggiori sinergie senza un contemporaneo chiarimento sul piano societario. Qualcosa di utile insieme i due gruppi già la fanno, ma niente di risolutivo per nessuno.
Telefonica ha appena rilevato da Portugal Telecom l’operatore telefonico brasiliano Vivo, un concorrente di Brasil Telecom, che è controllata da Telecom Italia, ma questa nuova mossa, pur apparentemente fuori da qualsiasi coerenza d’azione, non dovrebbe sortire ripercussioni di sorta sulle vicende italiane: né integrazioni ravvicinate, né divorzi, dunque, anche se la possibilità di un’integrazione tra Telecom Italia e Telefonica resta in tempi medio-lunghi una possibile evoluzione realistica.
Insomma, proprio come per il governo, si profila per Telecom Italia un’estate tranquilla, per non dire soporosa. L’ordinaria amministrazione procede bene, e questo è già qualcosa. Tutte le beghe – e sono tante – verranno rinviate a settembre.