Ignazio Visco ha parlato sabato del problema del credito. MICHELE ARNESE spiega il paradosso che si nasconde nella parole del Governatore della Banca d’Italia
Dopo gli esponenti della Casta che tuonano contro i privilegi della Casta, e dopo la Corte dei Conti che lancia allarmi sulla corruzione nella Pubblica amministrazione, non poteva mancare un altro paradosso economico. Ha provveduto la Banca d’Italia a proseguire la recente tendenza delle istituzioni a lanciare proclami che andrebbero indirizzati alle istituzioni stesse.
Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, sabato scorso ha detto: care banche, cercate di non far mancare il credito alle imprese. Qualche purista delle istituzioni si sarà chiesto: rientra nei compiti del governatore della Banca d’Italia spronare le banche a erogare credito? I puristi risponderebbero di no. Ma questi non sono tempi normali. Eppure, se si osserva qualche dato, un interrogativo è lecito sulle sollecitazioni del governatore della Banca d’Italia. L’ammontare complessivo del credito erogato dal sistema bancario italiano alle imprese nel 2011 ha registrato un aumento del 3,1% rispetto al 2010. Insomma, chi parla da mesi di credit crunch conclamato forse dovrebbe essere più cauto.
Detto questo, è indubbio che una flessione del credito c’è; e ci mancherebbe che non ci fosse visto che i consumi languono, la produzione è fiacca e gli investimenti latitano. Infatti, a fronte di un andamento positivo fino a novembre, lo scorso dicembre si è registrato un calo del 2,3% nell’erogazione del credito. Per questo il presidente dell’associazione bancaria, Giuseppe Mussari, parla di un rallentamento nella crescita del credito più che di un restringimento del credito. I banchieri saranno pure e giustamente screditati, però non sempre dicono baggianate; e gli imprenditori sono spesso dediti alle lagne più che alle innovazioni.
Il nuovo consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, ha fatto notare un numero: nel 2011 le sofferenze del sistema bancario sono aumentate del 38%. “Ecco perché il costo del credito si sta deteriorando in maniera assai rapida”, ha aggiunto. È comprensibile l’irritazione di molti imprenditori verso le banche che si irrigidiscono nel fornire prestiti, ma con l’incremento progressivo di crediti incagliati e sofferenze bancarie per gli istituti l’erogazione di fondi diventata un’attività talvolta a rischio.
Perciò è bene che l’irritazione si trasformi in azione: se la propria banca di riferimento nega o restringe i fidi, si bussi ad altri istituti. È quello che consiglia ad esempio Antonio Patuelli, vicepresidente vicario dell’Abi. Patuelli, in un suo recente scritto, seppure con la cautela tipica di un banchiere, esprime due concetti chiari. Primo concetto: “La sana e prudente gestione delle banche non è soltanto una scelta, ma un obbligo, a tutela degli azionisti, dei clienti, del mercato e dell’economia”. Come dire: gli istituti di credito non sono delle onlus o delle associazioni di beneficenza, ma pur sempre delle aziende dedite al profitto che non possono eccedere in rischi salvo mettere a repentaglio la propria esistenza.
Secondo concetto di Patuelli: “L’attività creditizia non è frutto di anarchiche discrezionalità da parte delle banche, ma di norme complesse e rigorose contenute in leggi e in regolamenti emanati e controllati dalla Banca d’Italia”. Patuelli altro non aggiunge, ma, per un banchiere misurato e con il senso delle istituzioni qual è, queste parole hanno un significato ben preciso: le decisioni degli istituti di erogare o non erogare credito rispettano norme e regolamenti dettati dalla Vigilanza della Banca d’Italia.
Il paradosso è chiaro, quindi. Visco consiglia le banche di non far mancare fondi alle imprese, i banchieri rispondono indirettamente che se non forniscono talvolta credito a qualche impresa è per rispettare le indicazioni della Vigilanza. E che le disposizioni della Banca d’Italia siano più restrittive lo attestano studi e ricerche, con comparazioni a livello europeo, delle principali banche italiane e pure dell’Abi che sono illustrati solo in seminari a porte chiuse. Perché i banchieri, cauti spesso fino all’autocensura, non vogliono criticare la Banca d’Italia per la Vigilanza asfissiante (più delle Vigilanze degli altri paesi europei) e per i regolamenti restrittivi in termini di ponderazione dei rischi (più restrittivi anche di quelli francesi e tedeschi). Così devono sorbirsi pure le ramanzine dell’Istituto centrale. Cornuti e mazziati.
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