OSCAR GIANNINO invita Letta a portare la questione degli accordi contrattuali in Parlamento per approvarli in modo trasparente come fa la Germania nei confronti di tutte le scelte Ue

«Letta porti la questione degli accordi contrattuali in Parlamento per approvarli in modo trasparente come fa la Germania nei confronti di tutte le scelte che riguardano la finanza europea». Ad affermarlo è Oscar Giannino, giornalista economico, di fronte alla possibilità che l’Italia negozi riforme in cambio di aiuti economici con l’Unione europea. In occasione del voto di fiducia alla Camera dei Deputati il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si era limitato a dire: “Dobbiamo lottare per dare alla zona euro una capacità finanziaria che incentivi gli Stati membri a compiere l’ultimo miglio delle riforme e li renda più resistenti agli shock economici”.



Giannino, che atteggiamento dovrebbe avere Letta nei confronti dell’Europa?

Dopo il rientro sotto il tetto del rapporto deficit/Pil del 3% il premier Letta si aspettava di ottenere dall’Europa il dividendo legato al fatto di scorporare gli investimenti dal debito. Nella realtà non è avvenuto nessun particolare riconoscimento all’Italia. Non sto giudicando se fosse o meno facile ottenerlo, ma mi limito a una considerazione fattuale.



Qual è stato il risultato?

I paesi che hanno ottenuto uno slittamento di due o tre anni per il rientro al di sotto del 3%, cioè Spagna, Francia e Paesi Bassi, hanno avuto condizioni più favorevoli rispetto all’Italia che è uscita dalla procedura d’infrazione. Sulla questione degli accordi contrattuali mi sarei aspettato che l’Italia assumesse pubblicamente in Europa una posizione molto ferma, prendendo atto di non avere ottenuto finora quello che chiedeva. Nell’ultimo mese abbiamo appreso dai giornali specialistici di questo strumento che si aggiunge agli altri acronimi collegati alla fiscalità, quali il Fiscal Compact, il Six Pack e il Two Pack.



Letta però ne ha parlato martedì alla Camera in occasione del voto di fiducia…

Il premier si è limitato a una formula generale, ma di fatto tutti i contenuti preparatori relativi agli accordi contrattuali sono sottratti al dibattito pubblico e non si entra nel merito dei particolari. Spiace dirlo, ma l’unico Parlamento nazionale a discutere diffusamente gli affari europei è quello tedesco. Diversi osservatori criticano questo fatto mentre io la ritengo una procedura di trasparenza democratica.

Il governo dovrebbe portare gli accordi contrattuali in Parlamento?

La regola tedesca secondo cui tutto ciò che riguarda i rapporti finanziari con l’Europa deve passare dal Bundestag è una clausola di garanzia che dovremmo imitare. In queste ore ci si è messi d’accordo sul salvataggio di un certo numero di banche europee, e nessuno ne ha saputo nulla se non ad accordo preso. Il risultato è stato quello di scegliere il modello cipriota e di darla vinta alla Germania: non ci sarà un fondo centralizzato comune, bensì dei fondi nazionali, e la Commissione non giocherà nessun ruolo. Di fatto, però, in Italia il dibattito su queste scelte europee non entra mai nell’agenda politica nazionale.

 

A quali condizioni concrete gli accordi contrattuali sarebbero vantaggiosi per l’Italia?

Ciò che non sarebbe realmente vantaggioso è negoziare uno 0,5% di deficit in più per l’anno prossimo. Al contrario, ritengo che si debba stabilire che in cambio di ciascuno specifico intervento di riforma, l’Italia ottenga dall’Ue un beneficio altrettanto determinato. Le riforme vanno concentrate su lavoro e fisco. Da questo punto di vista il governo Letta se ne avvantaggerebbe molto, perché ciò dovrebbe valerci un po’ di accelerazione in più, cioè uno 0,2%-0,4% di Pil in più nel 2014 rispetto alla stagnazione in cui ci troviamo. Mentre al contrario la legge di stabilità, venduta inizialmente come una svolta su lavoro e imposte, non lo è affatto.

 

Renzi darà il suo placet a questa procedura?

Ritengo che anche Renzi abbia in mente questo. Quando il neo segretario del Pd parla del “job act” è perfettamente consapevole del fatto che quest’ultimo può essere uno dei capitoli fondamentali degli accordi contrattuali con l’Europa. Ma c’è una cosa che vorrei aggiungere…

 

Prego.

Un altro esempio per me incomprensibile, e lo dico con rispetto assoluto verso un’istituzione come la Banca d’Italia, è la modalità con cui stiamo procedendo alla rivalutazione del capitale e a quello che a me sembra un maxi-dono alle banche private azioniste. Di fronte al silenzio in cui avvengono queste procedure concordate in Europa, non capisco come la Banca d’Italia possa avere convocato l’assemblea straordinaria per rivalutare le quote al 23 dicembre, mettendo tutti di fronte al fatto compiuto, prima che il Parlamento esamini e decida se modificare, approvare o respingere il decreto legge varato dal governo, e quando ancora non c’è l’ok della Bce. Mi stupisce il fatto che l’accordo tra Banca d’Italia, Abi e governo metta tutti improvvisamente di fronte al fatto compiuto, con l’assemblea per modificare lo statuto della banca prima che il decreto legge sia esaminato dal Parlamento.

 

(Pietro Vernizzi)