“A la guerre comme a la guerre”: per Carlo Messina, amministratore delegato della banca italiana più solida e redditizia del mercato, cioè Intesa Sanpaolo, la crisi è una grande occasione per portar via clienti ai concorrenti. E fin qui, niente di strano. La stranezza, virtuosa, è che Messina lo dice. E lo dice perché lo pensa e lo fa, lo sta già facendo. Ha avuto la possibilità di guidare una banca forte, ma un po’ burocratizzata da uno snodo gestionale lento, quello immediatamente seguito alla miglior fase della gestione Passera, che proprio su Messina, e sul capo dell’area corporate Gaetano Miccichè aveva puntato per il futuro. E l’ha trasformata in un’azienda dinamica, capace di una grande redditività. E di strategie ambiziose.
La sua logica è chiara: Unicredit, il principale concorrente in Italia, ha archiviato una brutta annata ed è atteso da un faticoso piano di ristrutturazione. I clienti non saranno felici. Saranno vulnerabili da offerte concorrenti. Idem, e anzi anche peggio, per clienti e piccoli soci delle dieci principali banche popolari italiane, che la riforma Renzi ha obbligato a trasformarsi in società per azioni: anche in quei paraggi l’umore dei clienti non sarà ottimale. Terreno fertile per un po’ di marketing aggressivo, del genere sempre mancato in Italia a un settore bancario che non ha mai brillato per concorrenza “fratricida”. Ma i tempi sono cambiati. Addirittura Messina, in un’intervista recente al quotidiano MF, ha dato un traguardo: 25 mila clienti in più. Sembrano pochi, ma sono tantissimi in un mercato pigro, consolidato, com’è da sempre quello italiano.
Messina sta intervenendo su tutti gli snodi della struttura patrimoniale e gestionale della banca per darle quella solidità che possa traghettarla attraverso i prossimi anni di turbolenza impunemente. Per esempio, sta riducendo la concentrazione di titoli di Stato italiani in portafoglio: oggi è scesa al 52%, cioè di vari punti percentuali in pochi mesi, e anche se Schauble – il ringhiante ministro tedesco dell’Economia – dice che andrebbe ridotto al 25%, esser discesi così è un vantaggio, costoso però perché riduce il margine d’interesse dell’istituto.
Peraltro, come tutti i manager consapevoli di quel che hanno fatto e della forza della loro azienda, Messina non sembra aver paura dei mercati. Che gli hanno riconosciuto l’ottimo lavoro, facendo salire il titolo per due anni, miglior valore bancario al mondo; e il migliore d’Europa nell’ultimo anno. Ma che Messina non ha esitato a strigliare di fronte alla reazione tiepida manifestata rispetto all’eccellente andamento del bilancio 2015: 2,7 miliardi di utile netto, il 13,4% di Common equity tier 1 ratio, dividendi oltre le attese… eppure giù in Borsa!
Peraltro, il banchiere ha una formazione economica solida. Da ragazzo, avrebbe firmato per fare il professore universitario, di tecnica bancaria magari. Poi la vita l’ha portato – buon per lui – a lavorare in banca. E a far carriera. Del professore mancato gli sono rimasti l’approccio analitico e la chiarezza espositiva. Ma anche l’attenzione alle persone: coinvolgere gli studenti è come coinvolgere i colleghi e i dipendenti. Per esempio, nella presentazione del piano d’impresa oggi in corso d’attuazione, sono stati coinvolti direttamente oltre 7000 colleghi di Intesa Sanpaolo, anche nella componente premiante di impiegati e quadri, che in quest’occasione ha partecipato in misura significativamente cresciuta.
Quest’alchimia virtuosa di Intesa le ha permesso di migliorare i risultati senza tagliare le erogazioni, anzi: nel solo 2015 sono stati concessi prestiti per 41 miliardi, i crediti saliranno a 47 miliardi nel 2016. Messina scommette – prudentemente – sulla tenuta del ritmo di crescita economica. Anche per proseguire nel buon trend di riduzione delle sofferenze, che nel 2016 caleranno di altri 5-6 miliardi, grazie alla Capital Light Bank, cioè in pratica alla bad-band che Intesa si è “fatta in casa”. Ma poi, che razza di bad-bank? Messina è stato molto chiaro al riguardo: “Quando si parla di sofferenze, la campagna denigratoria in atto contro le banche parla sempre di sofferenze lorde”, ha spiegato. “Ma è profondamente scorretto. Se io ho 40 miliardi di sofferenze lorde, ma nel tempo ho già accantonato 26 miliardi a conto economico, quello che rimane sono 14 miliardi di sofferenze nette. Ciò che conta sono solo gli importi netti. Noi abbiamo 30 miliardi di valori di immobili a garanzia a fronte di questi 14 miliardi. Dov’è quindi il problema?”.
Già: non c’è. Ed è in questa tendenza a parlare chiaro, difendendo diritti e meriti della propria azienda, ma inquadrandoli anche in un’ottica nazionale, che Carlo Messina sta trovando anche la sua personale cifra da “banchiere di sistema”, sistema-Paese s’intende. Una specie di presidente-ombra dell’Abi, perché le critiche che muove agli eccessi di certe regole europee, o le interpretazioni tendenziose di certi analisti, le muove da un pulpito credibile, quello di una banca grande che va bene.
Secondo lui, ad esempio, l’Italia potrebbe essere la grande sorpresa del 2016. Secondo Messina, ci sono tutte le condizioni perché il nostro Paese rompa con decisione la serie negativa che sin qui lo ha costretto «in una posizione che non merita». Ma a questo fine serve il supporto delle banche, tornate nel 2015 dopo anni a fare credito a famiglie e imprese. Per questo, dice Messina, «i prossimi stress test imposti agli istituti europei saranno un passaggio decisivo, soprattutto in tema di parametri per il confronto tra sistemi bancari». E anche in questo caso l’allusione è pesante: sarà bene che le autorità di vigilanza esaminino con più attenzione il peso dei derivati di cui sono ancora gonfi, per esempio, i portafogli delle banche tedesche e francesi.