Sui mercati finanziari l’esito delle elezioni di mid-term ha prodotto ieri un mini rimbalzo dei principali indici azionari americani, un indebolimento del dollaro e una discesa dei rendimenti del decennale americano. In generale la reazione, sul breve, è una sorta di sospiro di sollievo a cui si accompagnano valutazioni di più ampio respiro. Innanzitutto si deve inquadrare il contesto in cui si è arrivati all’ultimo appuntamento elettorale.
Ci sembra si possano sottolineare tre fattori. Un mercato azionario che aveva appena concluso un mese pessimo; una grandissima incertezza e ritrosia nel fare previsioni dopo le pessime figure delle presidenziali americane e del referendum sulla Brexit e infine il grande sforzo messo in atto dai democratici per recuperare dopo la batosta dell’elezione di Trump. La previsione che andava per la maggiore, anche se non gridata, era quella di una vittoria dei democratici alla camera e una conferma dei repubblicani al senato. Rispetto a questo scenario base rimanevano in piedi due scenari “estremi” che vedevano i democratici conquistare anche il senato e i Repubblicani in tenuta anche sulla camera.
Nel primo caso avremmo assistito a un aumento deciso dell’incertezza con i timori di impeachment e, magari, di cambio radicale della politica economica ed estera americana. Nel secondo caso ci saremmo aspettati un Presidente ancora più battagliero e “distruttivo” di quello visto finora. Il risultato di ieri ci consegna un Presidente ancora in grado di condurre la politica americana anche se limitato sensibilmente dalla perdita di una delle due camere. Un esito che potrebbe limitare le uscite più rudi. Una schiera di analisti, il capo del quant di Jp Morgan per fare un nome, ha definito l’esito elettorale il miglior scenario per i mercati. La tesi, in estrema sintesi, è quella di una normalizzazione e di un contenimento delle posizioni più estreme per esempio sui dazi. Rimane sullo sfondo la variabile della Fed e cioè se, dopo le elezioni, ci possa essere un cambiamento in senso più “dovish” e prudente sul rialzo dei tassi. Forse questo è l’assunzione non detta di chi ieri sul mercato festeggiava.
Ci sembra che l’esito elettorale di ieri non sia una vittoria per nessuno. Il passaggio delle elezioni mid-term è storicamente complicatissimo per il Presidente in carica. Nel 2010 Obama perse 63 seggi alle elezioni mid-term contro i 26 persi ieri da Trump. In più si arrivava alle urne con uno scontro politico esasperato e uno sforzo molto rilevante dei democratici che continuano a dipingere Trump, è solo un’analisi, come una pericolosa anomalia. Da questo punto di vista l’esito elettorale conferma un’incapacità dei democratici di intercettare l’America profonda e in un certo senso di “ammettere” che la ripresa di Obama e la risposta data alla crisi del 2008 hanno lasciato indietro un’ampia fascia della popolazione per di più beffata dalla bolla degli asset finanziari. La tenuta di Trump è un fatto così come la novità di dover fare i conti con una camera profondamente ostile e battagliera. Trump ha perso, ma i democratici non hanno vinto.
Con queste premesse si può assumere che l’America non devi dal percorso mostrato negli ultimi due anni sia per quanto riguarda la politica economica interna, sia per quanto riguarda la politica estera. Lo sforzo americano, fatto in deficit e in una fase di rialzo dei tassi, potrebbe, nel 2019, aprire scenari “interessanti” anche per quanto riguarda il cambio con il dollaro. Per l’Europa l’ambiente “competitivo” rimane molto sfidante e ci sembra che sia sempre più necessaria una riflessione su un modello, politico ef economico, che oggi la condanna a essere perdente e un oggetto più che un soggetto dei rapporti politici e economici globali.
Gli errori sulla gestione della crisi dei debiti sovrani del 2011-2012 oggi presentano l’inevitabile conto politico da chi ci ha visto anche una considerevole dose di malafede. Rifarli sarebbe mortale.