Nel mio articolo di venerdì scorso raccontavo la folle giornata vissuta il giorno di Santo Stefano a Wall Street, quel mega rimbalzo che aveva fatto gridare tutti al miracolo, allo scampato pericolo, alla paura di una nuova recessione ricacciata indietro a calci dalla realtà dell’economia più sana di sempre. Ovviamente, la realtà si è presto premurata di smentire chi riteneva un segnale positivo, un sintomo di stabilità e salute delle Borse il fatto che il medesimo indice potesse passare da un rosso di 400 punti a un verde di 1.000 nell’arco di 48 ore. Certo, c’era di mezzo il Natale e in molti credono ai miracoli di quel giorno: chiamatemi infedele, magari blasfemo, ma io non ci credo. Almeno, non per quanto riguarda il mercato. E, infatti, il boom del 26 dicembre era stato reso possibile da una concomitanza tale di eventi da far pensare a un pranzo di gala allestito con tutti i crismi. E con debito anticipo.
Piatto forte – dopo l’antipasto delle sparate via Twitter di Donald Trump contro la Fed e prima del dessert dell’annuncio sul filo di lana della chiusura di contrattazioni della missione Usa in Cina del 7 gennaio, al fine di sbloccare la questione dazi e tariffe commerciali – era stato il noto ribilanciamento del portafoglio di investimento dei fondi pensione statunitensi. Non noccioline: qualcosa come 64 miliardi di dollari di controvalore in titoli da acquistare in quattro sedute e mezza di contrattazioni, fra il 24 dicembre (mezza giornata di trading) e oggi, ultimo giorno dell’anno. Insomma, per scelta strategica, i fondi pensione Usa dovevano uscire dall’obbligazionario ed entrare nell’azionario. In particolare, nell’indice benchmark di Wall Street, il Dow Jones. Insomma, rialzo assicurato. In quel caso, da record. E lo stesso è avvenuto il 27 dicembre, quando dopo una giornata di contrattazioni che sembrava volgere di nuovo al pesante negativo, con il Dow Jones sotto anche di 760 punti a poche ore dalla chiusura, ecco che arriva la nuova ondata di acquisti dei fondi pensione. E non un’ondata qualsiasi, bensì quello che fino a venerdì sera è stato il più grande ordine di acquisto mai immesso dal mese di febbraio scorso e capace di garantire al Dow Jones il più ampio ribaltamento intraday dei corsi dal 2010. Di fatto, fra annullamento delle perdite e guadagni finali, l’indice vip di Wall Street ha segnato un +900 punti nella giornata del 27 dicembre.
E cosa ci garantisce che fossero ancora i fondi pensione, i cavalieri bianchi giunti in soccorso delle Borse di fine anno? Questo grafico, il quale ci mostra la perfetta correlazione temporale fra titoli azionari che salgono al Dow Jones (linea verde) e rendimento del Treasury a 10 anni che sale (linea blu), sintomo che qualcuno stava scaricando con il badile obbligazioni per entrare contemporaneamente nell’azionario. Non potevano che essere loro, vista la magnitudo dell’operazione.
E venerdì? Venerdì fa caso a parte e vale la pena di essere raccontato, non fosse altro perché oggi Wall Street sarà aperta per l’ultima seduta di contrattazione dell’anno e il 2 gennaio, invece, avremo il primo, vero banco di prova. La madre di tutti gli stress test, forse. O, se andrà come io penso, il vero, grande “incidente controllato” che servirà a tutti, Casa Bianca e Fed in testa, per tramutarsi in Portoballo e dire stop alla politica di contrazione monetaria. La giornata del 28 dicembre era stata fin dall’inizio interlocutoria a Wall Street, lievemente positiva, ma senza alcuno scossone. Poi era passata in negativo, ma senza panico, quasi si volesse veleggiare tranquilli verso il weekend, dopo le abbuffate degli ultimi due giorni.
Poi, il primo sussulto. Alle 14:05 ora di New York, quando ancora i traders stavano masticando di fretta l’ultimo boccone di hot-dog, ecco che il Tick della Borsa, ovvero l’indicatore che mostra la forza relativa di ordini di acquisto e vendita, toccava quota 1.735, la seconda lettura più grande di sempre. Di fatto, un chiaro segnale: comprate con il badile! Immediatamente, come tante comparse de Il gladiatore, udito il segnale, tutti cominciarono a comprare, certi di una cosa: i fondi pensione erano tornati, avendo deciso di spezzettare in più sedute il controvalore record di acquisti che dovevano compiere per il ribilanciamento obbligato del portafogli. Quindi, tutti front-run ai loro acquisti, ci si accoda e si scalano le vette, oltretutto godete della strada spianata dalla loro scia.
Ma, come nei piani troppo ben congegnati per riuscire alla perfezione, qualcosa è andato storto in breve tempo. E ce lo mostrano questi due grafici: il primo ci mostra come alle 14:39 quella chiamata alle armi per i traders diventò addirittura un invito a nozze, visto che il Tick aveva appena sfondato il suo record di mezz’ora prima, toccando addirittura quota 1.775. E non con un solo, enorme programma di acquisto, ma almeno con tre letture del Tick da oltre 1.650 nell’arco di 10 minuti contati: di fatto, l’occasione della vita, come in Un mercoledì da leoni, l’onda del secolo era alle porte e chiedeva solo di essere cavalcata. Nessuno, in quel momento, poteva pensare ad altro che all’arrivo della cavalleria dell’acquisto, ovvero i fondi pensione. D’altronde, chi poteva credere al fatto che uno o più trader avessero simulato con i loro ordini una terza ondata di acquisti dei fondi, solo per fregare gli algoritmi, far saltare gli stop e costringere in massa a un ennesimo short-squeeze di dimensioni epiche, ovvero coperture forzate di posizioni che, di fatto, con i loro acquisti giocoforza garantiscono rialzi amplificati dei corsi? Su cui salire in giostra a costo pressoché zero?
Male, avrebbero dovuto pensarlo fin dall’inizio. Ma lo hanno comunque fatto in tempo breve, è bastato dare un’occhiata agli schermi e rendersi conto di quanto ci rivela il secondo grafico: a differenza del giorno prima, quando cioè agli acquisti di equities era corrisposta la vendita di massa sull’obbligazionario. Venerdì invece a fronte di un Dow Jones che prendeva 200 punti di rialzo in pochi minuti, il rendimento del Treasury a 10 anni restava, di fatto, invariato o poco più. Normale movimento da mercato secondario dell’ultima giornata di trading dell’ultima settimana dell’anno. Calma piatta. Non erano i fondi pensione a comprare. E qui, sembra davvero la scena finale di Una poltrona per due, quella della scommessa sui futures del succo d’arancia congelato. Scoperta la beffa, tutti si sono lanciati ad acquistare… ma bond! E, infatti, il rendimento del decennale statunitense calava in pochi minuti a 2,7146%, il minimo dal mese di febbraio. Di converso, Wall Street cedeva tutti i guadagni e chiudeva in negativo, con solo il Nasdaq lievemente positivo per i massicci acquisti sulle Fang, ormai a prezzo di saldo. Per il Dow Jones, a fine giornata, quasi 400 punti di perdita e, addirittura, frazionali passaggi al di sotto di quota 23mila punti.
Certo, non una sell-off come quella del 24 dicembre, ma il sintomo di qualcosa: i trader più grossi o più disperati, sanno che i rialzi dei giorni precedenti erano retti unicamente dall’architrave degli acquisti dei fondi pensione, i quali però paiono aver chiuso la loro operazione di ribilanciamento. E, se anche avessero ancora dell’argent de poche da spendere sul totale dei 64 miliardi di dollari da spostare fra asset-classes, dovranno comunque farlo obbligatoriamente entro oggi, ultima seduta dell’anno. Da mercoledì, si torna alla normalità. Ovvero, a un mercato dopato, in bolla e finora retto unicamente dai buybacks delle grandi corporations. Gli stessi che, ad esempio, hanno visto Apple – la più aggressiva della big nell’operare questa pratica – spendere qualcosa come 62,9 miliardi di dollari in riacquisto di propri titoli nei primi nove mesi dell’anno che sta per chiudersi.
Peccato che al prezzo attuale, il valore di quei titoli sia di 51,8 miliardi di dollari, un bella perdita di 11 miliardi fra prezzo di riacquisto e valore alla chiusura di giovedì scorso. Perentorio ma da incidere sulla pietra, il commento al riguardo di Nell Minow, vice-presidente di ValueEdge Advisors, interpellata dal Wall Street Journal: «Se avessero fatto un’acquisizione che avesse comportato una tale perdita di valore, la gente li inseguirebbe armata. Hanno un solo compito da svolgere, fare un buon uso del capitale». La caduta degli Dei.
Dunque, da dopodomani nulla più di sistemico, nessuna solidità strutturale, nessun mercato del Toro tornato prepotentemente alla ribalta dopo una breve pausa: Wall Street tornerà ad essere quella che era stata da ottobre e fino alla pazza settimana di Natale, ovvero il sunto di tutto gli eccessi (leggi, bolle) e gli azzardi morali possibili sul mercato. E qualcuno, forse, ha voluto che si arrivasse a questo. Tanto più che dopodomani, prima seduta del 2019, ci sarà una criticità in più con cui fare i conti.
In ossequio alla politica di Quantitative tightening, ovvero allo sgonfiamento del bilancio dopo l’abbuffata di bond compiuta durante i vari cicli di Qe, la Fed proprio il 2 gennaio “drenerà” dal mercato 18,2 miliardi di dollari sotto forma di Treasuries che giungono a maturazione, seguiti il 16 dello stesso mese da 18,3 miliardi in Mbs. E quella quota “36 miliardi” sarà la media mensile di quanto la Fed toglierà dal mercato per tutto il 2019, stando ai piani di redemptions approvati dal Fomc: un freno pesante alla liquidità, quasi un’operazione fondi pensione al contrario, ancorché quasi dimezzata nel controvalore e non con un impatto così diretto e immediato.
A meno che, in ossequio alle turbolenze di mercato e ai tweets sempre più velenosi e arrabbiati di Trump, Jerome Powell non decida che è ora di fermarsi, magari proprio con il blocco di quei drenaggi di liquidità mensili come prima mossa da compiere, un ramoscello d’ulivo da portare come segno di pace alla Casa Bianca e a Wall Street. Poi, si bloccheranno i rialzi dei tassi per il 2019, già scesi a due dai tre inizialmente previsti. E poi, chissà. Insomma, tutto come da copione. E pensare che mi davano del pazzo, soltanto fino all’autunno scorso.
Nei prossimi tre giorni avremo parecchie conferme indirette della mia sanità mentale come lettore di avvenimenti e prospettive, cari lettori. O della poca lungimiranza di altri, dipende come la si vuole mettere.