MEDIA & POLITICA/ Saranno i rider porta-pizza a scrivere il futuro del giornalismo in crisi?
Il nuovo governo Lega-M5s è freddo verso la crisi dell’editoria giornalistica. E mentre gli editori accelerano i tagli, i giornalisti chiamano gli Stati generali del settore. NICOLA BERTI

La crisi dell’editoria giornalistica non accenna ad attenuarsi, anzi. Ed è comprensibile che la conferenza dei comitati di redazione riunita dalla Fnsi abbia deciso di indire gli “Stati generali” del settore. Il primo incontro del sindacato con il neo-sottosegretario alla Presidenza Vito Crimi (M5s) con la delega all’editoria è stato di rito, quello con l’Ordine dei giornalisti anche meno promettente (Crimi si è interrogato sull’attualità degli ordini professionali). Non è certo dalla nuova leadership gialloverde di Palazzo Chigi che editori e giornalisti possono attendersi solidarietà concreta e convinta, anzi: i grillini, in particolare, hanno sempre preso di mira i grandi media come strumento di un establishment politico-finanziario che dichiarano di aver combattuto e sconfitto a cavallo dell’ultimo voto politico.
L’aggiustamento può realizzarsi in forme meno apocalittiche di quelle temute (un primo test saranno le imminenti nomine al vertice Rai), ma intanto il segretario della Fnsi, Lorusso, ha dovuto evocare i rider porta-pizze per denunciare la condizione del precariato giornalistico.
Nel settore, intanto, la tensione cresce. Non è passata inosservata la domenica di sciopero indetta a tamburo battente da tutti i quotidiani del gruppo Gedi (De Benedetti-Agnelli) dopo il tragico suicidio di un lavoratore poligrafico di uno stabilimento in Friuli: in via di chiusura, con il trasferimento del personale in Veneto. È stato evidente che — al di là dell’emozione solidale — i giornalisti di Repubblica, Stampa, Espresso e quotidiani Finegil hanno manifestato la forte apprensione per le attese di una nuova ristrutturazione in Gedi, dopo l’avvicendamento fra Monica Mondardini e Laura Cioli nel ruolo di amministratore delegato.
Nel frattempo presso un altro big name dell’editoria italiana — Mondadori (Berlusconi) — una riorganizzazione de facto è già maturata. In meno di tre mesi il preannuncio della vendita di due piccole testate a un gruppo croato si è trasformato in un accordo sindacale interno senza precedenti: con i giornalisti che hanno accettato tagli fino al 38% dei propri compensi per evitare la cessione. E durante la stretta finale della trattativa, Segrate non ha smentito l’intenzione di disfarsi dell’ammiraglia Panorama: cioè una generalizzazione della manovra, cui peraltro potrebbero ispirarsi altri editori.
Tutte cattive notizie anche per l’Inpgi, l’ente pensionistico di settore, alle prese con minori contributi correnti e prospettici, allungamento della vita dei pensionati, aumento straordinario delle prestazioni di ammortizzazione sociale (casse integrazioni, contratti di solidarietà, prepensionamenti, ecc.). È evidente che la sostenibilità della gestione professionale è seriamente a rischio, mentre si fanno meno astratte le ipotesi di allargare il raggio dell’ombrello previdenziale a tutti i lavoratori “bradi” dell’informazione digitale. È altrettanto chiaro, peraltro, che questo significa ricostruire in profondità l’architettura professionale e sindacale del giornalismo nazionale.
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