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Home » Economia e Finanza » Industria » DOPO IL CROLLO/ Ora solo la Gronda può salvare il porto di Genova

  • Industria
  • Economia e Finanza

DOPO IL CROLLO/ Ora solo la Gronda può salvare il porto di Genova

Hildenbrand Sensini
Pubblicato 18 Agosto 2018
porto_genova_2_lapresse

Il porto di Gioia Tauro (LaPresse)

La tragedia del crollo del Ponte Morandi potrebbe essere aggravata dal disastro economico per il dirottamente delle merci dal porto di Genova. HILDENBRAND SENSINI

La tragedia di Genova, oltre che suscitare grande dolore, fa tornare alla mente la vera battaglia che fu ingaggiata nei primi anni Novanta (raddoppio Pontremolese) e che fu formalmente sostenuta da un mio caro e fraterno amico all’epoca in carica di natura istituzionale da parte di un importante dicastero. Se l’opera fosse stata compiuta all’epoca (e totalmente), oggi potremmo lenire (via Spezia e Livorno) il disastro economico che deriverà dall’inevitabile dirottamento delle merci dal porto di Genova a quelli di Tolone e Marsiglia. E ai politici attuali sfugge ancora che, da martedì, il raccordo Tav Torino-Lione è diventato veramente inutile.


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La ragione è chiara, poiché il traffico commerciale principale diretto in Francia e proveniente dalla nostra penisola via gomma e dall’estero via mare fino a Genova trova nella Tav la direttrice di completamento naturale sia risalendo dal Sud, sia muovendo in modo specifico dal Nord-Est integrando in questo l’intera area dal Veneto e regioni vicine, Lombardia compresa. Genova quindi tagliata a metà è destinata a un declino veloce, visto che le merci via nave andrebbero direttamente in Francia a Marsiglia e Tolone.


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In ogni caso, se il collegamento Pontremoli-Borgotaro (costruito monorotaia dal Cavour in funzione strategica anti Lombardo-Veneto austriaco) fosse stato completamente raddoppiato e reso abile al Tav commerciale negli anni Novanta, ci saremmo resi da un ventennio notevolmente indipendenti da una città assurda come Genova, degna solo di essere aggiunta quale “sesta” delle “cinque terre” spezzine. Fu proprio Cavour a volere Genova una grande città, ma quando le sue competenze si limitavano al regno di Piemonte e Sardegna. Appena si allargò all’Italia, abbandonò immediatamente Genova spostando verso sud (La Spezia) lo scavalcamento degli Appennini fra il Tirreno e la Pianura padana, ovvero verso i grandi passi alpini e in definitiva verso l’Europa. Pensiero strategico di 150 anni fa!


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Inoltre, riprendendo per altri versi il filo in un Paese marittimo come il nostro, è più facile declinare il trasporto commerciale costruendo intraporti scalari per dimensione e accoglienza di tonnellaggio posizionati per i più facili raccordi sia ferroviari che su gomma, con opportune “bretelle” offrendo un plus benefico in termini di sicurezza e di ambiente per gli aggregati urbani, nonché in investimenti e in occupazione. 

Ora, data la lunghezza italica nei tempi di ricostruzione che prevedono come addenda non pochi passaggi amministrativi progettuali e sperimentali, ancor più necessari dopo la tragedia del Morandi, un’unica alternativa valida per Genova e per il Paese è puntare sulla Gronda. Ma bisogna farlo subito. Da domani!


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