Se c’è una cosa che non sopporto dell’Italia è l’ipocrisia imperante, l’incapacità ontologica di avere il coraggio di dire ciò che si pensa in maniera chiara, ingenerando perennemente dubbi non per la sacrosanta volontà di mettere in discussione il proprio punto di vista, ma per tenere il proverbiale piede in due scarpe, almeno fino a quando non appare chiaro quale sia l’opinione vincente e maggioritaria. E accodarsi, saltando sul proverbiale carro del vincitore. Guardate il caso della nave Diciotti. Sia il governo che l’opposizione hanno scomodato questioni di principio, di diritto, di umanità, di contrapposizione all’Europa, di razzismo. In realtà, è solo scontro elettorale, nulla più che ideologia finalizzata al mantenimento e all’incremento potenziale del consenso. Punto.
Perché, piaccia o meno, tutti hanno capito che il conto alla rovescia per la sopravvivenza di questo esecutivo è iniziato, ma non si può dirlo chiaramente, per una ragione semplice: chi governa dovrebbe ammettere di aver venduto balle in campagna elettorale, essendo incapace di dare vita alle promesse che rispondono al nome di flat tax e reddito di cittadinanza, mentre chi si oppone (o tenta miseramente di farlo) dovrebbe prendere pubblicamente atto di essersi fatto stracciare lo scorso 4 marzo da un esecutivo che non ha retto nemmeno sei mesi alla prova dei fatti. Quindi, pensate un po’ come sono percepiti dall’opinione pubblica.
Dei 170 e rotti della Diciotti non frega nulla a nessuno, è soltanto disperata contabilità da preparazione alle urne. O, comunque, di comodo e benedetto ritorno all’opposizione. D’altronde, prendete l’unico argomento che sta accomunando le parti in causa nella vicenda, ovvero la critica all’atteggiamento miope ed egoista dell’Europa. Primo, da quando si scomodano le autorità europee per 170 persone? Cosa vogliamo, organizzare un vertice dei 27 ogni volta che una nave approccia un porto italiano o greco? Francamente, ci costerebbe di più che mantenere chi è a bordo dei vascelli, sfamandolo a filetto. E poi, scusate, l’atteggiamento egoista dell’Europa non è esattamente lo stesso che Salvini rivendica da sempre come il proprio, quello che lo ha visto trionfare alle urne e che Forza Italia miseramente insegue? È lui ad aver stretto alleanze e patti d’acciaio con gente come Orban, uno che fin da principio a detto che in Ungheria di migrante non ne vuole nemmeno uno: di cosa ci lamentiamo, quindi? Se il ministro dell’Interno è il primo a fare sua quella linea, come possiamo lamentarci dell’egoismo altrui, se è pari al nostro?
Certo, c’è da capirli: chi poteva saperlo in campagna elettorale che, una volta giunti al governo leghisti e pentastellati, magicamente l’Italia si sarebbe ritrovata sotto forma di penisola bagnata dal Mediterraneo e con qualche migliaio di chilometri di costa? Una novità assoluta, un mutamento geofisico, materializzatasi in corso d’opera, non c’è che dire. Orban ha gioco facile: senza mare, blindare le frontiere di terra è uno scherzo, basta un bel po’ di filo spinato e sufficienti poliziotti e soldati per presidiarlo. Il mare è un po’ differente. Ma come potevano saperlo i geni del governo? E poi, scusate ma Salvini non è volato in Libia per trattare e bloccare gli scafisti con l’aiuto delle autorità di Tripoli? Peccato che siano le stesse che l’altro ieri, come risposta alle minacce del Viminale di rispedire proprio in Libia la Diciotti con il suo carico umano, hanno risposto picche, te li tieni. Accidenti che accordo che ha ottenuto Salvini, altro che Minniti! E Conte, il quale ieri si è lanciato a difesa del suo ministro dell’Interno, scaricando ogni responsabilità sull’Ue? Scusate, ma non è lo stesso premier che non più tardi di due mesi fa, uscendo dal Consiglio europeo, annunciava trionfante che finalmente la musica era cambiata e che le istanze italiane non erano più lettera morta in sede europea?
Non era quello che festeggiava la formula del “su base volontaria” relativa ai ricollocamenti (omettendo di dire chiaramente che, però, in base all’accordo raggiunto e spacciato come trionfo, ora il Trattato di Dublino si potrà cambiare solo all’unanimità, quindi campa cavallo), nemmeno avesse vinto l’Oscar e il Nobel in un sol colpo? E di cosa si lamenta, allora? Cosa c’entra l’Europa? Delle due l’una, o raccontava balle allora o lo fa oggi: tertium non datur. E per tornare all’ineffabile ministro dell’Interno, non aveva stretto un patto d’acciaio con i suoi omologhi di Germania e Austria, sancito in un molto mediatico incontro trilaterale a Innsbruck, cui avrebbero dovuto seguire altri meeting a intervalli regolari per dar vita a una politica concertata di frontiere chiuse e respingimenti sistematici? Già finita quell’alleanza? Già finiti i meeting a cadenza regolare? Anche in questo caso, però, la fregatura è unilaterale.
Non solo perché né Germania, né Austria devono fare i conti con il Mediterraneo e le sue coste infinite, ma anche perché, a differenza di Salvini, i loro ministri degli Interni non passano le giornate a postare tweets e a fare selfie. Ma a lavorare. Ed ecco che mentre qui Salvini ci faceva vedere le brioches con la Nutella che doveva mangiare per avere l’energia necessaria a riparare i danni provocati dal Pd, la Germania stringeva a livello ufficiale dei patti governativi sui ricollocamenti con Spagna e Grecia, garantendosi oltre alla sicurezza geografica di confini terrestri più facili da presidiare ma anche accordi a livello europeo che facilitino le procedure. Perché la politica è questa, non le dirette Facebook. Ma siccome la gente continua a ritenere Salvini un fenomeno, se lo tenga pure. Però, si preparino a tenere anche la Diciotti e tutti i suoi occupanti. E con essa, tutte quelle che seguiranno. Con coté di un Parlamento, quando si degnerà di riaprire, occupato a sbrogliare questioni come quella che sta paralizzando il dibattito politico in queste ore, invece che parlare di cose serie. Vedi, l’economia.
Ma attenzione, perché anche in questo caso, la fregatura per chi è cascato nella trappola propagandista di questo governo, è dietro l’angolo. Salvini non è un genio, ma è un politico con la P maiuscola, sa quando abbozzare e quando invece occorre andare all-in, come a poker. E ora è il momento di caricare la scommessa elettorale al massimo, perché il fido Giorgetti ha parlato chiaro: l’attacco dei mercati è questione di quando, non di se. Quindi, addio alle promesse elettorali, se non vogliamo finire come nel 2011. Ma rimangiarti la flat tax vuol dire perdere del tutto l’elettorato storico della Lega, quel Nord produttivo che della Diciotti e del sovranismo se ne frega, perché ha a che fare con tasse, infrastrutture da anni Sessanta, bolle d’accompagnamento, studi di settore, anticipo Iva e chi più ne ha, più ne metta. E la lettera degli imprenditori veneti contro il “Decreto dignità” rischia di essere solo l’antipasto.
Quindi, occorre correre ai ripari e cosa c’è di meglio che far morire questo governo interpretando il ruolo del martire che si sacrifica sulla barricata della sicurezza degli italiani, sfidando addirittura i magistrati ad arrestarlo? Tranquilli, questa pagliacciata sta sicuramente già fruttando consensi in più a Salvini, quasi certamente in uscita dal serbatoio di grillini delusi. Quella in atto è una guerra fratricida fra i due formali alleati di governo, con Forza Italia e Pd che assistono al bordo della tavola, in attesa che cada qualche briciola elettorale da raccogliere. Peccato che la resa dei conti di settembre si avvicini a grandi passi, sia per il Def, sia per la fine del Qe della Bce, sia per la prova del nove dei mercati che, con ogni probabilità, verranno a vedere il nostro bluff. Anzi, il loro bluff. E saranno dolori, non a caso l’unica mente pensante al governo, Giancarlo Giorgetti, ha fatto professione di umiltà e ha chiesto quasi ufficialmente a Draghi che ci metta una pezza, che prolunghi il Qe o trovi un’alternativa che comunque ci schermi ancora per un po’ dal rischio dello spread.
Anche perché, grazie alla linea filo-americana di Giuseppe Conte (lo stesso che poi si lamenta della scarsa solidarietà europea) e alle sparate di Salvini, siamo riusciti a inimicarci in meno di tre mesi Germania, Francia e Spagna: sicuramente, se occorrerà l’aiuto della Bce per tamponare gli attacchi, questi nostri partner diranno di sì, anche e soprattutto per interesse. Imponendoci quale prezzo da pagare, però, visto che abbiamo fatto i furbi, pensando che a salvarci le terga arrivasse uno come Trump, il quale è meglio che pensi a salvare il suo di didietro, visti gli ultimi sviluppi? È da mesi che vi ripeto che questo è un governo di irresponsabili, ora – per chi vuole vederla e non è accecato dall’ideologia o dal furore iconoclasta – c’è la prova provata. E vale anche per i cantori di questa accozzaglia di dilettanti che hanno albergato per settimane su questo sito, ora invece più silenti e con meno frequenza di intervento. E sapete perché? Perché quando uno come il professor Paolo Savona, per la cui nomina al Mef si è arrivati a minacciare addirittura la procedura di impeachment contro il presidente Mattarella, fa balenare l’idea che se la Bce non ci farà da scudo, il nostro debito potrebbe avvalersi della garanzia di Stato russa, capisci che siamo alla frutta. Non per l’idiozia insita in una sparata simile, ma per il fatto che quella voce, riportata da La Stampa e non smentita dall’interessato o dal portavoce del suo dicastero, è emersa il 21 agosto, lo stesso giorno in cui proprio il ministero delle Finanze russo annunciava l’annullamento di aste di propri titoli di Stato a causa dell’eccessiva volatilità di mercato. Capito chi dovrebbe garantire il nostro debito post-Qe, gente che quando ancora la tempesta nemmeno ha cominciato a far sbattere le finestre, già annulla le aste, perché teme di pagare rendimenti troppo alti.
E, in effetti, non ha tutti i torti, visto che in un mondo di rendimenti ancora pressoché a zero grazie alle Banche centrali, pagare l’8,580% sull’Ofz – il Btp russo – a 10 anni non appare sintomo di grossa stabilità finanziaria. Ma Savona, l’uomo del piano B per farci uscire dall’euro, vuole chiedere ai russi, gente che tra aprile e maggio a venduto 90 miliardi di controvalore di debito Usa perché percepito come rischioso e comprato oltre 830mila once di oro fisico, di farsi garanti per i nostri Btp: roba da premio Nobel, non c’è che dire. Ma da ridere c’è poco, proprio poco. Perché se l’ultimo report di Goldman Sachs parla chiaro e ci dice che, senza gli acquisti dell’Eurotower, nel 2019 l’80% delle nuove emissioni di debito italiano dovrà essere assorbito da investitori privati esteri (i cosiddetti marginal buyers), come ci mostra il grafico, mercoledì il Financial Times, citando dati Bce e Bankitalia, suonava l’allarme: tra maggio e giugno, gli investitori esteri hanno venduto titoli di Stato italiani per un controvalore di 72 miliardi, un record negativo assoluto. Il tutto, con l’unico compratore di prima e ultima istanza, la Bce, che sta per chiudere i rubinetti.
E sapete cosa significa? Ve lo spiego con un’immagine: negli ultimi due mesi lo spread ha fatto il pazzo, a fronte di qualcosa come 70 miliardi di nostro debito scaricato sul mercato? No, qualche saltello e niente più. Sapete perché? La Bce e i suoi acquisti. Toglieteli e avete idea di dove sarebbe oggi il nostro differenziale di rendimento rispetto al Bund? Restano le nostre banche, altrimenti avremo le aste vuote o i rendimenti del decennale a livello russo come premio di rischio per detenere la nostra carta. Ma se le banche continuano a comprare, c’è una duplice fregatura. Primo, occorre sperare che la nuova regolamentazione bancaria a livello europeo non ponga davvero limiti alla detenzione di debito pubblico per gli istituti di credito commerciali, altrimenti addio. Secondo, se anche l’Eba e la Vigilanza Bce ci faranno la grazia in tal senso, resta il fatto che se gli attivi delle banche finiscono all’80% in acquisti di debito pubblico per tenere basso lo spread, non c’è più liquidità per imprese e famiglie, se non a costi di interessi esorbitanti. Quindi, l’economia del Paese muore.
Non c’è alternativa, si può solo scegliere se forca o plotone d’esecuzione, ma l’epilogo è quello, se si continua sulla china intrapresa dal Governo in campo economico-finanziario. Davvero, alla luce di tutto questo, la priorità è la Diciotti e il problema l’Europa? Pregate che il mitologico prefetto tedesco arrivi il prima possibile, altrimenti preparatevi a un finale argentino. Per il quale, sapete fin d’ora chi dovrete ringraziare.