Avete presente l’elicottero da combattimento UH-1N, il cosiddetto “Huey”, quello della mitica scena di Apocalypse Now? Bene, quella vera e propria icona (tragica) della guerra in Vietnam va in pensione. Al suo posto l’esercito Usa ha scelto l’MH-139, evoluzione dell’AW-139. E sapete chi lo costruisce? Leonardo, eccellenza italiana del settore. La quale, affiancata da Boeing come prime contractor, ha vinto la gara d’appalto, un boccone da 2,4 miliardi di dollari. La notizia si è saputa nella notte fra lunedì e martedì, un vero e proprio colpaccio per la nostra industria bellica. Un qualcosa da festeggiare. Perché signori, gli uomini la guerra l’hanno sempre fatta e la faranno sempre: quindi, o si arriva a una moratoria mondiale sulla vendita di armamenti oppure chiamarsi fuori da un business simile per presunte fisime etiche è paradossale. E anche un po’ suicida. E idiota, tanto per chiamare le cose con il loro nome. Quindi, viva Leonardo e il suo MH-139! Il quale non rappresenta soltanto una vittoria commerciale, ma, soprattutto, il primo dividendo politico dell’appiattimento del Governo Conte sulle posizioni statunitensi, reso addirittura parossistico dalla visita-lampo del premier alla Casa Bianca lo scorso luglio.
Ricordate, quella della famosa “cabina di regia” sulla crisi libica: come stiano andando le cose in realtà a Tripoli e dintorni, è sotto gli occhi di tutti, ma questa è un’altra questione. La cosa grave sta nel grado di inconsapevolezza che regna in questo Paese al riguardo, ovvero il fatto che nessuno sembra aver capito la delicatezza del momento storico che viviamo e la nettezza del punto di rottura con l’Europa che la posizione dichiaratamente filo-Washington di Conte può rappresentare per il futuro del nostro Paese nell’ambito degli equilibri Ue. I quali, o decidiamo di uscire dall’Unione europa o ci riguardano parecchio, direi (a meno che snobbarli sia parte integrante della strategia del lamento perenne e della teoria del complotto permanente anti-italiano).
E attenti ai facili entusiasmi del “muoia Bruxelles e tutti i suoi burocrati”, perché il Labour britannico ha dato il via libera a un eventuale secondo referendum sul Brexit nel corso del suo congresso di questi giorni: cosa vi dicevo in tempi non sospetti che, in un modo o nell’altro, Londra non andrà da nessuna parte? La questione, però, è altra. Perché mentre il nostro Paese si arrovellava con questioni di altissimo profilo come il disavanzo francese (noto da luglio ma scoperto solo ora) da imitare o la farsa tragica della ricostruzione del Ponte Morandi di Genova, succedeva qualcos’altro. Anzi, due cose, strettamente correlate fra loro e anche con la vittoria di Leonardo della sua commessa negli Usa.
Primo, parlando alle Nazioni Unite (fra le risate generali, reali e non metaforiche), Donald Trump diceva chiaro e tondo che gli Usa sono pronti a nuove e più stringenti sanzioni contro l’Iran, dopo quelle che entreranno in vigore a pieno titolo a novembre, in primis con la volontà di azzerare l’export di greggio di Teheran per assetarne le casse statali. E che dalle parti della Repubblica islamica si stia già giocando sporco lo ha dimostrato pochi giorni fa l’attentato a una parata di Pasdaran in occasione dell’anniversario della guerra contro l’Iraq, una trentina di morti e una vaga quanto estremamente sospetta rivendicazione del risorto Isis, il pret-a-porter di ogni mossa geopolitica sporca che necessiti l’anonimato per chi la compie. E in perfetta contemporanea con le parole del presidente Usa al Palazzo di Vetro, cosa succedeva in Europa? Che Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera (a cui vanno le mie scuse ufficiali per i giudizi affrettati e superficiali dati in passato), presentava di fatto proprio la riposta Ue alle sanzioni americane contro l’Iran in difesa delle aziende che operano con Teheran.
Già, l’inconcludente Europa questa volta ha fatto seguire i fatti alle parole di un mesetto fa e per una ragione semplice: in ballo, oggi, c’è la sopravvivenza stessa. Siamo a un nodo storico, epocale. Ma nessuno pare interessato. O, forse, è troppo preso a raccapezzarsi con quella globale arma di distrazione di massa chiamato sovranismo, stranamente divenuto epidemico nel Vecchio Continente proprio in corrispondenza con le mosse da “salviamo l’Impero” degli Stati Uniti. Prima delle quali, piazzare alla Casa Bianca il buon Donald Trump, il miliardario in bancarotta che nelle speranze pietose dei populisti della prima e dell’ultim’ora (i quali stanno sbocciando come fiori di pesco a Tokyo in aprile anche su queste pagine) dovrebbe garantire agli ultimi della Terra la propria rivalsa sulle élites mondialiste. Il povero Ernst Jünger si sta ribaltando nella tomba. E signori, quanto accaduto a Bruxelles è di primaria importanza.
Perché a presentare lo special purpose vehicle che bypasserà, almeno nelle intenzioni, le sanzioni Usa, di fatto evitando l’utilizzo di dollari che garantisce giurisdizione globale alle autorità Usa sugli scambi effettuati in regime di sistema Swift, c’erano Federica Mogherini e il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, oltre a rappresentanti di tutte le parti in causa nel progetto bilaterale Ue-Iran: Francia, Germania, Russia e Cina. Tutti, tranne gli Usa. E l’Italia, visto che Federica Mogherini rappresenta la tanto vituperata Europa. E non il governo. Di fatto, Bruxelles e Teheran daranno vita a un’entità legale che garantirà scudo alle transazioni delle aziende europee che operano con l’Iran, in modo da non dover sospendere i loro business in ossequio ai desiderata (e alla nemmeno troppo velate minacce) del Dipartimento di Stato Usa. Le transazioni saranno presumibilmente in euro e in sterline, proprio per evitare che l’uso dei dollari permette a Washington di “mettere il naso” con copertura legale internazionale.
Non so se avete capitom ma in perfetta contemporanea con l’annuncio all’Onu di nuove sanzioni contro Teheran da parte di Donald Trump, Ue e Iran annunciavano non solo un accordo per farsi beffa di quelle sanzioni, ma anche il primo atto di affrancamento ufficiale dal dollaro come moneta benchmark negli scambi internazionali, pur non mettendo ancora in discussione la validità globale del sistema Swift. Signori, una cosa simile – in un Paese normale e in tempi normali – sarebbe stata l’apertura di tutti i tg e il titolo di prima pagina di tutti i quotidiani: invece, nemmeno una parola. Nemmeno una riga. Nessuno sa nulla di quanto sta accadendo in Europa, la quale sta dimostrando in questi tempi difficili e pericolosi di non limitarsi a regolamentare la curvatura delle banane o la lunghezza delle acciughe pescabili. O lo sbarco di quattro disperati nei nostri porti.
Strano vero che ci sia questo strumentale silenzio al riguardo, cosa ne dite? In Germania la notizia era l’apertura di Handelsblatt, il principale quotidiano economico del Paese, il loro Sole24Ore: e qui, invece, di cosa parlavamo? Dell’oltraggioso approccio verso quota 3% del budget francese. Del nuovo Ponte Morandi che vedrà la luce, forse, nel 2100. Del decreto sicurezza e immigrazione. D’altronde, cosa volete che sia: l’Europa sta soltanto, alla faccia della sovranità di cui tanto si blatera, finalmente sbattendo i pugni sul tavolo e imponendo la propria indipendenza e forza monetaria e di impresa dalle imposizioni statunitensi, nulla di che, roba che succede tutti i giorni. E, attenzione, mentre l’Ue fa questo, noi festeggiamo giustamente una commessa da 2,4 miliardi vinta da Leonardo con il Pentagono, ma ci ritroviamo, fattivamente, sempre più in netta e ostile minoranza all’interno della comunità politica ed economica di cui siamo Stato fondatore. Ne siete consci? Perché non si tratta di scelte da cui si torna indietro tanto facilmente. Né tanto velocemente. Siamo, di fatto, uno nuovo Stato degli Usa, siamo la Porto Rico d’Oltreoceano: prendiamone almeno atto, visto che a compiere questa scelta a dir poco strategica è stato un premier di cui si hanno tracce sporadiche e un Governo che pare uscito da un uovo di Pasqua per quanto è raffazzonato e confuso.
Vi pare un caso che sia proprio questa partita di giro da Muppett Show della politica ad aver preso una posizione simile? O, forse, serviva proprio gente inaffidabile e assolutamente dilettantesca per compiere uno strappo simile senza che la gente se ne accorgesse o venisse colta da dubbi su quanto stava accedendo? Rifletteteci. Perché in ballo c’è questo, ovvero il fatto che nessuna moneta di riserva globale, così come gli Imperi che la battono, dura per sempre.
Siamo arrivati alla fase finale del dominio del dollaro? Entriamo nella stagione dello yuan globale, come sembrano dirci molti segnali, primo dei quali i futures sul petrolio denominato in valuta cinese, i cosiddetti petroyuan ormai scambiati sul libero mercato in concorrenza con i derivati in dollari? O, forse, il rischio principale da sventare, sia per Washington che per Pechino, è che il posto del dollaro, se fossimo meno imbecilli e smettessimo di farci la guerra fra di noi, sia preso dall’euro, essendo già oggi la valuta di riferimento del mercato più ricco a livello globale? Che dite, la falsa guerra commerciale a colpi di dazi e tariffe che, finora, sta colpendo solo l’industria e l’export europeo (oltre ai consumatori Usa) e non facendo nemmeno un graffio a Pechino, assume un contorno diverso se vista da questa angolazione?
Riflettete, ve lo ripeto. Perché siamo davanti alla Storia. Che, grazie a Dio, non sarà fatta né dai Salvini, né dai Di Maio. Ma che, attenzione, potrebbe passare per il sentiero interessato, provinciale (quali siamo) e un po’ bottegaio di una commessa militare.