FINANZA/ Il debito che continuiamo ad accumulare grazie a Ue e Bankitalia

- Giovanni Passali

L’attenzione è concentrata sulla manovra, che ha il pregio di segnare una svolta nei rapporti con l’Ue. Che servirebbe anche sul fronte di Bankitalia, dice GIOVANNI PASSALI

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Ora è quasi tutto chiaro. I pezzi sono disposti sulla scacchiera della competizione (politica) tra Governo e rappresentanti delle istituzioni europee (Ue e Bce). La manovra finanziaria è sul tavolo e rende chiare le intenzioni del Governo. Devo dire che questa manovra ha due caratteristiche fondamentali: è insufficiente nei numeri, ma fondamentale per l’inversione di rotta. Insufficiente nei numeri, perché l’oggetto misterioso chiamato Reddito di cittadinanza è quantificabile (e quantificato) in una decina di miliardi, una cifra irrisoria rispetto a quello che ci vorrebbe per l’Italia: mi riferisco a una produzione industriale che è all’80% (e anche meno) rispetto ai valori pre-crisi e mi riferisco all’11% di disoccupati e al 15% di scoraggiati (quelli che non studiano e non cercano lavoro, definiti scoraggiati dagli studi statistici). Ma questa manovra costituisce comunque un’inversione di rotta rispetto ai governi precedenti, perché non è acriticamente filoeuropea.

I governi precedenti, da Monti in poi per intenderci, sono stati tutti acriticamente filoeuropei, anzi, europeisti per ideologia preconcetta. Capaci di ingoiare e farci ingoiare qualsiasi cosa venisse dall’Europa, “perché lo vuole l’Europa”, “perché ci vuole più Europa”, anche se quello che l’Europa ci rifilava non era cioccolata ma era… zucchero per un malato di diabete.

Per comprendere questi giudizi, ci può aiutare una recente proposta di legge presentata da Giorgia Meloni, presidente del partito Fratelli d’Italia, con la quale si vuol raggiungere l’obiettivo della nazionalizzazione della Banca d’Italia. Con questa legge si vuole dare attuazione a una norma rimasta lettera morta, poiché il trasferimento della proprietà della Banca d’Italia è stata prevista dalla legge 262 del 2005 e doveva essere attuata entro il dicembre 2008. Invece nel 2013 è avvenuto il contrario, cioè una ricapitalizzazione nominale che ha ridefinito il capitale di Bankitalia da 156 mila euro a 7,5 miliardi. Con questa mossa, le banche partecipanti al capitale hanno potuto iscrivere in bilancio un capitale molto superiore e consolidare così i propri bilanci, senza cacciare un euro.

Quella mossa ha dimostrato ancora di più come i bilanci delle banche, e in particolare delle banche centrali, sono delle finzioni giuridiche. Il termine usato (“finzione giuridica”) può apparire un po’ forte a chi non è esperto di diritto: in realtà il termine è ben conosciuto dalla giurisprudenza e utilizzato senza alcuno scandalo. Per stare alle parole dell’enciclopedia Treccani, la finzione giuridica è uno “fra gli artifici della tecnica giuridica, largamente praticato da tutti gli ordinamenti, è quello per cui si dà come esistente o come inesistente un fatto, indipendentemente dalla preoccupazione dell’accertamento della verità e talora anche nel riconosciuto contrasto con questa”.

Tale istituto è di grandissima utilità: per fare un esempio, se una persona annega in mare e non si può reperire il corpo, con questo istituto si riconosce la morte della persona (anche in mancanza del cadavere) e per esempio si può aprire la successione. Anche nel caso di Bankitalia si è operato con lo stesso criterio, cioè col criterio di raggiungere un risultato e non di accertare il dato: nessuno può dire se il capitale di Bankitalia sia realmente 156 mila euro o 7,5 miliardi, l’obiettivo raggiunto è stato quello di consolidare il bilancio delle banche partecipanti al capitale di Bankitalia.

Ora però tenendo conto della dimensione giuridica cerchiamo di considerare anche quella economica e finanziaria. Riportare la proprietà di Bankitalia allo Stato (o al ministero del Tesoro) che effetti concreti porta? Messa così, senza altre indicazioni, proprio nulla. Anche perché a oggi Bankitalia è praticamente ridotta a essere una filiale locale della Bce o poco più. A che serve avere la proprietà di una filiale di un soggetto estero che non risponde ad alcuna autorità? Ben diverso sarebbe il discorso se Bankitalia fosse in qualche modo riconosciuta come proprietaria della moneta che (per conto della Bce) emette. Allora la proprietà di Bankitalia sarebbe importante perché equivarrebbe ad avere la proprietà della moneta e lo Stato potrebbe iscrivere la moneta generata tra gli attivi del bilancio.

Sarebbe una rivoluzione, con grandi effetti positivi, poiché oggi avviene che la moneta prodotta viene iscritta tra i passivi di Bankitalia (e la cifra attuale ammonta a 188 miliardi). Tale passività è coperta dagli attivi, dove sono presenti i Titoli di Stato: insomma, la passività artificiosa delle banconote in circolazione è coperta dai Titoli di Stato, con il particolare determinante che lo Stato riceve moneta che nel tempo non rende nulla, mentre Bankitalia riceve titoli che alla scadenza hanno un rendimento, cioè gli interessi.

Insomma, in altre parole, il cosiddetto “signoraggio” non è semplicemente una partita di giro: chi contesta il problema del signoraggio afferma che lo Stato comunque oggi incassa quello che incasserebbe se fosse lui a stampare moneta; no, non è così. Lo Stato, poco o tanto, di anno in anno ci rimette perché invece di stampare moneta, stampa titoli per ottenere la moneta e poi paga gli interessi sui titoli emessi. Il signoraggio che poi ottiene da Bankitalia è comunque sempre inferiore agli interessi pagati, quindi ci rimette sempre. Come afferma la stessa Bankitalia sul suo sito, se fosse lo Stato a stampare la moneta “è quest’ultimo che, spendendola ad esempio per acquistare beni e servizi, la mette in circolo nell’economia e realizza immediatamente il controvalore, al netto dei costi di produzione”.

Per capire concretamente di cosa si parla, facciamo parlare i numeri. Secondo i bilanci di Bankitalia, le banconote in circolazione nel 2005 erano 94 miliardi, mentre nel 2017 erano 188 miliardi. Questo vuol dire che in questi anni Bankitalia ha stampato 94 miliardi in banconote. Se le avesse stampate lo Stato le avrebbe potute utilizzare per acquistare beni e servizi, risparmiando così 94 miliardi di debito. Al contrario, ha stampato titoli di Stato e ha pagato interessi per una cifra che si può stimare sui 20 miliardi. Fanno circa 114 miliardi di differenza. Oggi il nostro rapporto debito/Pil è al 132%, invece poteva essere al 125,6%.

Come fare allora? Sicuramente viene in mente l’istituto della finzione giuridica (si fa una moneta di Stato, diversa dall’euro, senza corso forzoso e ad accettazione volontaria in modo da non violare i Trattati, non cambiabile con l’euro e quindi non soggetta a speculazione, ecc.). Ma il vero problema non è tecnico, il vero problema è quello della volontà politica, il vero problema è quello di un’inversione di rotta nei rapporti con l’Ue, in modo da non porsi più in una condizione di sudditanza politica e psicologica. In questo senso, la proposta del partito Fratelli d’Italia è notevole. Però poi ci vuole altro per uscire dalla crisi.





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