Dopo le alluvioni i ristori alle aziende arrivano quando sono già chiuse. Lo stato oltre alle tasse impone una polizza: le assicurazioni pagano prima
L’ultimo dato disponibile (2022) parla di 21 miliardi di euro di imposte ambientali sborsati dalle imprese, con i settori energivori in testa (fornitura di energia elettrica, gas) a quota 5,3 miliardi e il manifatturiero (5 miliardi) e i trasporti (3 miliardi) che seguono. Una cifra, spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della CGIA Mestre, che non esaurisce gli impegni delle aziende: lo Stato, infatti, ora prevede, anche se è slittata all’inizio dell’anno prossimo, il pagamento di una polizza catastrofale che dovrebbe garantire le imprese dai rischi di eventuali disastri ambientali.
Il motivo? La burocrazia. I risarcimenti dello Stato arrivano così in ritardo che spesso le aziende hanno già chiuso. Il rimedio diventa la stipula di una polizza perché le assicurazioni dovrebbero pagare in tempi più brevi. Intanto, però, l’imprenditore paga due volte per lo stesso scopo. Il problema è che i soldi chiesti per la tutela ambientale non sono vincolati a questo scopo e non vengono utilizzati per la manutenzione del territorio. Così, però, le imprese restano tra le più tartassate d’Europa: aggiungendo alle loro tasse anche quelle dei privati, solo in Germania (71,4 miliardi di euro) il carico fiscale è superiore al nostro (54,2 miliardi).
Le imprese italiane pagano 21 miliardi di tasse ambientali. Di che tasse si tratta e come vengono effettivamente utilizzati questi soldi?
Stiamo parlando di sovraimposte e accise su gas, energia elettrica, petrolio e oli minerali; tasse sugli autoveicoli e tributi su discariche e per la tutela ambientale. Purtroppo, se non in piccolissima parte, il gettito prodotto da queste ecotasse non ha una destinazione vincolata, pertanto finisce nel gran calderone delle entrate indirette.
Visto il ripetersi di alluvioni ed eventi meteorologici di entità superiore alla norma, è stata introdotta la polizza catastrofe. A quanto ammonta per le imprese questo impegno?
Dipende dalla categoria di rischio dell’area in cui insiste l’attività, dalla superficie della stessa e dalla presenza e qualità delle attrezzature e dei macchinari presenti. In linea generale, per una piccola attività artigianale e/o commerciale l’importo della polizza ha un costo medio di 250 euro all’anno.
Perché il legislatore ha introdotto la polizza? Non bastavano i soldi pagati per le tasse? Cosa non funziona in questo meccanismo?
Il grosso problema sono i tempi di erogazione degli indennizzi pubblici. Spesso il ristoro arriva dopo qualche anno. Purtroppo, la burocrazia e le procedure di quantificazione dei danni sono lunghissime. In molti casi le imprese hanno ricevuto i soldi dopo che avevano chiuso definitivamente, perché prive di alcuna risorsa per ripartire. In linea puramente teorica, invece, le compagnie assicurative dovrebbero liquidare le imprese colpite da eventi estremi nel giro di qualche settimana.
C’è il pericolo che addirittura le tasse ambientali aumentino ancora?
Purtroppo sì. Soprattutto quelle applicate dagli enti locali. Comuni, Province e Consorzi di bonifica, infatti, nell’ultimo biennio hanno subito un ulteriore taglio dei trasferimenti statali. Pertanto, per poter far quadrare i propri bilanci, non possono che agire sulla leva fiscale.
Quali sono le imprese che pagano di più da questo punto di vista?
Le più tartassate sono le attività energivore, le imprese manifatturiere e i trasporti. Complessivamente, questi tre settori versano oltre 13 miliardi di euro all’anno, che costituiscono il 62% circa del gettito nazionale.
Le aziende e i privati in Italia quanto pagano rispetto ad altri Paesi europei, soprattutto quelli che rappresentano le economie trainanti? Il peso di queste tasse incide sulla concorrenzialità delle imprese?
Nel 2023 le famiglie e le imprese italiane hanno versato ben 54,2 miliardi di euro di tasse ambientali. Tra i 27 Paesi dell’Unione Europea solo la Germania registra un gettito superiore al nostro. Ovviamente, anche le imposte ambientali contribuiscono ad appesantire il carico complessivo che, purtroppo, rimane tra i più elevati d’Europa.
CGIA fa presente che nell’ambiente, come nella sanità e nella previdenza, negli ultimi decenni sta prendendo sempre più piede il privato e lo Stato abdica sempre più alle sue prerogative. Che rischio comporta questa linea di tendenza?
Se lo Stato ha deciso di retrocedere dalla gestione di alcuni principi universalistici, che sono gli assi portanti del nostro welfare state, attua una politica legittima che, tuttavia, noi non condividiamo. Ora, se in materia di sicurezza, di protezione ambientale o di sanità molte prestazioni sono a pagamento, sarebbe auspicabile che lo Stato riduca le proprie pretese fiscali. Altrimenti corriamo il rischio di pagare due volte. In questo caso, una con le ecotasse e un’altra dopo aver stipulato la polizza con una compagnia assicurativa privata. Una vera e propria ingiustizia.
(Paolo Rossetti)
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