Non si tornerà alla scuola di prima. I mesi passati hanno lasciato il segno: sia per chi ha dato continuità a un lavoro in atto adattando alla nuova situazione strumenti e forme; sia per chi ha deciso di non rispondere alla sfida di una realtà imprevista e faticosa e si è accontentato di un piccolo cabotaggio di sopravvivenza, sia per chi ha sospeso ogni giudizio e ogni azione sperando che tutto passasse presto e si tornasse alla “normalità”.
Ma la normalità era così desiderabile? La scuola di prima era così ben impostata da richiedere solo una più o meno tranquilla fase di riorganizzazione per passare a una gestione ordinata e senza particolari sconvolgimenti?
Francamente, è difficile sostenerlo.
Può essere che i mesi del lockdown abbiano dato una spallata a un certo modo di fare scuola che si trascinava senza troppo entusiasmo (e senza grandi risultati). Ma anche di questo è lecito dubitare.
Qualcuno, a partire da quello che molti hanno fatto in questi mesi, ha voluto vedere prefigurata la scuola di domani: dinamica, tecnologica, creativa, interconnessa… Tuttavia la magia della DaD (Didattica a Distanza) non sembra in grado di per sé di generare un rinnovamento. Anche l’incremento nell’impiego delle tecnologie informatiche nella didattica – impiego che con la DaD ha trovato una sua maggior giustificazione e in qualche misura anche una certa efficacia – quando poi viene proiettato nella prospettiva di una scuola in presenza – quale deve essere – continua a suscitare quelle perplessità e preoccupazioni che già si manifestavano nei confronti delle esperienze di punta attivate in epoca pre-pandemia.
Abbiamo sempre sostenuto l’importanza di un’apertura del mondo della scuola verso le innovazioni tecnologiche per quello che possono dare a vantaggio dell’insegnamento e dell’apprendimento. L’insegnante che ha passione per la sua opera educativa non fatica a riconoscere la validità di strumenti, anche inusuali e sofisticati, che possono potenziare la comunicazione, possono supportare le relazioni, possono aiutare a personalizzare i percorsi conoscitivi: purché si tratti di strumenti a servizio di un progetto educativo centrato sulla crescita della persona, progetto che non può avere le sue radici e il suo valore negli strumenti stessi.
Gli strumenti informatici, tuttavia, hanno alcune caratteristiche particolari e non basta acquisire la loro conoscenza tecnico-operativa, soprattutto se si pensa a un loro esteso utilizzo in ambito educativo. Sono troppe le criticità, troppe le precondizioni implicite, le implicazioni e conseguenze sia sul piano conoscitivo che su quello comportamentale. In generale – e questo non vale solo per la scuola – è ancora troppo debole la riflessione sulla portata del cambiamento in atto, su cosa significhi vivere in un mondo che si affida sempre più alle macchine, ai sistemi automatizzati, al digitale, agli algoritmi.
Gli educatori, dovrebbero essere in prima fila in questa riflessione e farne il punto di partenza per ogni innovazione e sperimentazione e per le necessarie verifiche e valutazioni critiche.
La ripresa della scuola nel segno del cambiamento può essere l’occasione per affrontare con decisione tutti questi argomenti, anche alla luce delle iniziative attuate e delle esperienze significative vissute in questo 2020, come quelle raccontate in modo ragionato in questo numero.
C’è comunque un tema che si impone (e si sarebbe dovuto imporre anche senza Covid) e che può aiutare a mettere anche il problema della tecnologia nella giusta prospettiva. È quello richiamato dall’interrogativo al quale risponde Marcello Tempesta nell’intervista che pubblichiamo: cosa è essenziale nel lavoro scolastico? Una domanda che ne trascina con sé delle altre, quali: come scegliere l’essenziale nelle discipline? E prima ancora: è essenziale parlare di discipline? Noi riteniamo che lo sia e pensiamo di averlo documentato ed esemplificato: ma dovremo ritornarci.
Mario Gargantini
(Direttore di Emmeciquadro)