Il contributo di Maria Adelaide Soro spiega perché come il recupero dei debiti formativi può avvenire in modo più funzionale
Il fallimento dei corsi di recupero previsti dal decreto sui debiti firmato dal Ministro Fioroni era ampiamente annunciato.
E non a caso da mesi studenti, insegnanti e famiglie avevano manifestato molte perplessità sull’efficacia di uno strumento che, con scarse risorse e molti problemi organizzativi, avrebbe dovuto recuperare 8 milioni di insufficienze collezionate da 2 milioni di studenti (il 70% del totale) nelle pagelle del primo quadrimestre di quest’anno. Solo che il fallimento non sta nei corsi di recupero: è la scuola così com’è strutturata che ha fallito.
Ha fallito, perché costringe tutti gli studenti – organizzati per classi di età, senza tenere conto dei diversi tempi di apprendimento e delle diverse intelligenze – a studiare le stesse discipline, con le stesse metodologie e con gli stessi tempi uguali per tutti.
Col risultato che si mortificano le eccellenze, ma non si è neppure in grado di sostenere con efficacia chi è in difficoltà.
Una scuola che, inseguendo il mito dell’istruzione uguale per tutti, ha creato profonde disuguaglianze: la scuola di tutti non è la scuola di ognuno, perciò non è la scuola di nessuno.
Che fare allora?
Diminuire le ore di lezione settimanale; articolare le discipline in un nucleo di saperi fondamentali comuni a tutti e in una quota di materie opzionali. Le prime devono essere rigorosamente certificate sulla base di standard nazionali ed europei; le seconde devono essere validate. È evidente che l’attività didattica differenziata si deve concentrare sulle prime, la loro padronanza decide della soglia di ingresso nella cittadinanza e nella professione. E se ripetute certificazioni negative dovessero portare alla conclusione che un ragazzo non vuole o non può raggiungere gli standard nazionali?
Dovere della scuola è dire al ragazzo e alla sua famiglia qual è il livello reale della sua preparazione. Ma non è pensabile che il ragazzo venga trattenuto per anni dentro la scuola. Tentate tutte le strade, costruiti i percorsi per lui più adeguati, restano, alla fine, la sua libertà e la sua responsabilità. La certificazione finale dovrà dire che non ha raggiunto in tutto o in parte gli standard delle competenze chiave previste.
L’abolizione del valore legale del titolo di studio, sostituito da una certificazione veritiera, costringerà genitori e figli ad assumersi le responsabilità della vita.
