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Home » Educazione » È giusto bocciare? Le ragioni di un “no” un po’ particolare

  • Educazione

È giusto bocciare? Le ragioni di un “no” un po’ particolare

Giovanni Cominelli
Pubblicato 6 Maggio 2008
studente-bocciato_FA1

Senza percorsi personalizzati non ha senso cercare di applicare a tutti uno schema che non fa altro che produrre “scarti”. Ma il non bocciare per ragioni finanziarie, come in Germania, non va alle radici del problema. Bisogna creare una nuova “ratio studiorum”

Di fronte all’insuccesso scolastico il primo riflesso che scatta è semplice: occorre bocciare, magari dopo aver tentato un recupero. Così prevede l’ultima operazione-serietà ministeriale. Bocciare, ma con juicio. Si rischia infatti di perdere migliaia di cattedre! In Germania si è meno ipocriti: non bocciate proprio! Perché costa troppo alle finanze del Paese.
Con tutta evidenza i governi stanno prendendo il toro per la coda. Le questioni che dovrebbero porsi sono ben altre: come non perdere i ragazzi! Perché un crescente insuccesso scolastico? La risposta è semplice: i sistemi educativi burocratico-centralistici, omogenei, enciclopedizzanti non sono più in grado di far crescere il naturale desiderio di sapere che c’è in ogni cuore umano. Vogliono formare cittadini, escludono le persone. Perciò zero personalizzazione dei percorsi! Finché lo schema ha funzionato, gli “scarti” erano pochi. Ora stanno diventando una valanga. Se il sistema educativo non è in grado di dare ai ragazzi un senso alla presenza a scuola il fenomeno è destinato a crescere. Il non bocciare per ragioni sindacal-corporative o finanziarie non va alle radici del mal di scuola. Una convincente ricerca di Marcel Crahay, che muove significativamente dalla domanda: Échec des élèves ou échec de l’école? documenta la sostanziale inutilità delle bocciature, salvo che per il 2% dei fallimenti.
Allora: bocciare o no? Anche la mia risposta è no. Bocciare significa perdere i ragazzi per sempre. Come non perderli, questo è il vero problema. Occorre costruire un’altra “ratio studiorum”, che è una necessità storica delle grandi trasformazioni di civiltà, qual è quella che stiamo attraversando. In primo luogo: i governi devono proporre tavole di competenze e standard che i ragazzi debbono raggiungere, se vogliono vivere da uomini e cittadini nel mondo. In secondo luogo: le scuole, in partnership educativa con le famiglie, devono essere libere di progettare il percorso personale più adeguato per il raggiungimento degli standard stabiliti. I percorsi sono diversi per ciascuno perché diverse sono le biografie, irregolari i tempi della crescita, imprevedibili gli eventi della vita. La scuola non può essere “la scuola di tutti”, se non diventando “la scuola di ciascuno”. E se un ragazzo non raggiunge gli standard previsti per la sua età? È necessario fermarlo-bocciarlo, finché non li ha raggiunti? Solo raramente ha senso compiere un’operazione del genere. Ha più senso un’altra: mettere il ragazzo e la sua famiglia di fronte alla sua verità e alla sua libertà. Ha senso dirgli: passa pure all’anno successivo, ma “certifico” che dal tuo zaino mancano alcune competenze essenziali, senza le quali sarai meno uomo, meno cittadino, meno lavoratore/professionista. Le conseguenze di questo deficit le incontrerai presto. Ora tocca a te decidere di te, in piena libertà e responsabilità. La scuola non si sostituisce a te o ai tuoi genitori. Ti aiuta, solo se lo vuoi tu. Occorre sollevare nei genitori e nei ragazzi un’onda alta di responsabilità.
È evidente che questo metodo impone una modifica profonda degli assetti istituzionali, amministrativi, pedagogici della “seconda ratio studiorum”, che finora ha guidato i sistemi educativi del continente.


SCUOLA/ Latino alle medie, quegli ostacoli “invisibili” che si chiamano didattica, prof e famiglie


(Foto: Imagoeconomica)


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