Kevin non si è presentato a scuola a metà gennaio, quando in Kenya è iniziato il nuovo anno scolastico. Kevin quest’anno frequenta l’ultimo anno alla scuola secondaria Cardinal Otunga di Nairobi e a novembre sosterrà l’esame di stato finale del corso.
È ritornato in classe due settimane dopo la maggior parte dei suoi compagni perchè ha dovuto lasciare la casa in cui viveva in seguito agli scontri che hanno coinvolto anche lo slum di Huruma in cui vive con la sua famiglia. Questo, come gli altri slum di Nairobi, è diventato il teatro degli scontri maggiori tra i due principali gruppi etnici: i Kikuyu, sostenitori di Kibaki, nominato Presidente dopo un conteggio dei voti molto contestato, e i Luo, il cui leader è Raila Odinga. Nello slum vivono da anni sia i Luo che i Kikuyu, in aree distinte, ma confinanti: devono passare per le stesse strade, per gli stessi vicoli, usare gli stessi mezzi di trasporto, comprare presso gli stessi “negozi” ambulanti.
Kevin appartiene alla tribù dei Luo. Nei giorni successivi alla nomina del Presidente è stato testimone degli scontri. «La palazzina in cui vivo – racconta – è stata il centro della guerra: è stata presa d’assalto per oltre 12 ore, tra domenica 30 e lunedi 31 dicembre: l’edificio e i vicoli per raggiungere la strada principale erano controllati da bande formate da giovani kikuyu. Solamente quando è arrivata la polizia siamo potuti uscire da casa ed essere ospitati da un nostro parente in un’altra zona della città».
In quelle ore dal balcone ha assistito inorridito all’uccisione di molte persone, fatte a pezzi con i “panga”, i lunghi machete usati normalmente per lavorare i campi. Questi giovani, come i loro “avversari” appartenenti alla tribù dei Luo, hanno la stessa età o qualche anno in più di Kevin. Pochi hanno finito la scuola elementare, non hanno potuto frequentare corsi professionali, e pertanto vivono di espedienti. Di fatto non hanno nulla da perdere. Sono le persone che più facilmente vengono strumentalizzate per fini politici: in cambio di pochi scellini sono stati tra quelli che hanno affollato le piazze durante la campagna elettorale dell’uno e dell’altro schieramento e dopo le elezioni sono stati quelli che hanno attivamente partecipato agli scontri e alle distruzioni.
Kevin ha avuto un’altra storia: è riuscito a frequentare la scuola secondaria, grazie ad un’adozione a distanza. I voti nella pagella dello scorso anno lo indicano come il migliore della classe. Vorrebbe diventare ingegnere.
In questi anni, a scuola, ha imparato il valore della propria persona, il desiderio di una vita migliore. Kevin non andrebbe mai a bruciare case o distruggere negozi. Kevin ha una dignità da difendere. È convinto che in Kenya la convivenza tra diverse tribù è possibile: «È un bene vivere insieme, come è stato finora. È un bene imparare il valore dell’altro. La soluzione non può essere solo un accordo tra i politici, ma occore educare la gente ad apprezzare il valore di ciascuna tribù».
Il Kenya ha bisogno, oggi più che mai, di educazione, non un’educazione qualsiasi, ma di un’educazione che apra il cuore dei ragazzi a quel desiderio di verità, di bellezza e di giustizia che lo costituisce, un’educazione che renda la persona consapevole della sua dignità e perciò rispettosa della dignità di ogni altra persona, indipendentemente dalla etnia o tribu di appartenenza. Kevin desidera che la situazione ritorni normale: «Vorrei completare il mio corso di studi … – si ferma un attimo e aggiunge – in un modo positivo: ciò non solo ottenere un buon risultato finale, ma vivere quest’anno in modo da poter crescere nei rapporti e nelle amicizie che ho, con alcuni insegnanti e anche con i miei amici di altre tribù».