L’ex-ministro Fioroni ha lasciato un ultimo regalo agli studenti che stanno affrontando l’esame di stato: dopo essersi auto-convinto di aver ridato serietà alle prove, ha voluto fare un altro passo nella direzione dell’egualitarismo di cui si è dimostrato un buon servitore, per cui ha tirato fuori dal suo cilindro la bella trovata di togliere i voti finali dai tabelloni. Quindi ogni studente quando andrà a vedere l’esito del suo esame non vedrà né il suo voto né quello dei suoi compagni tanto meno quello degli studenti amati o odiati della classe accanto, ma solo se l’esito dell’esame sia stato “positivo o negativo”. Quest’anno sui tabelloni non ci saranno numeri, ma la pura indicazione del superamento della prova: il punteggio gli studenti lo dovranno chiedere in segreteria.
La ragione di questa bella novità è molto semplice: è il rispetto della privacy. Secondo l’ex-ministro ogni studente sarebbe rispettato e tutelato dal fatto che solo lui possa accedere al suo voto. Ancora una volta il moloch della società italiana, la tanto mitizzata privacy, va a complicare le cose semplici, precipitando nel ridicolo. Dovrebbe spiegare l’ex-ministro come mai in un esame di Stato per sua natura pubblico la valutazione non dovrebbe esserlo: pubbliche le prove, pubblico il colloquio, e il voto finale no? Inoltre si dovrebbe dire agli studenti perché mai la privacy entri solo nell’atto finale e non in tutto il processo di valutazione: infatti è pubblico il punteggio del credito scolastico, sono pubblici i risultati delle tre prove scritte, e poi all’improvviso non c’è più pubblicità degli atti!
Aver deciso di togliere il voto dai tabelloni è una complicazione inutile, ed è un problema che non si pone. Casomai la questione seria è un’altra, è l’assurdità di identificare la preparazione e le capacità sviluppate da ogni studente con un numero. Al posto di perdersi in inutili bizantinismi bisognerebbe avere il coraggio di rivedere il meccanismo con cui si arriva al punteggio finale dell’esame. La questione seria della valutazione finale non è che vengano o non vengano esposti i voti sui tabelloni, ma che senso abbia che uno studente prenda 60, un altro 73, un altro 84, un altro 100. Sono questi numeri che non hanno senso, in quanto la semplificazione numerica di una preparazione complessa e articolata è quanto di più contrario alla realtà possa esserci. Tanto più che spesso questi numeri sono il risultato di somme di altri numeri, senza che nessuno vada a vedere chi sia mai lo studente esaminato, quali capacità abbia e quali possibilità reali di continuare gli studi. Invece no, invece di affrontare le questioni vere ci si perde in problemi di forma; del resto non è una novità che il problema più serio che hanno molti Presidenti di Commissione non è quello di mettere ogni studente nelle condizioni di affrontare l’esame al meglio, ma di mettersi al riparo da un eventuale ricorso.
Sarebbe ora di finirla con il privilegio di forme e burocrazia, e sarebbe ora di tornare alla semplicità delle cose, dove non c’è nessuna violazione della privacy se un insegnante, dopo aver interrogato uno studente, davanti ai suoi compagni gli attribuisce un voto, rischiando il suo giudizio nella totale disponibilità a paragonarsi con tutto ciò che ne potrebbe derivare.
(Gianni Mereghetti)